Il saggio tenta di risalire alla disciplina di una legge di Costantino “super concubinis ingenuis”, il cui testo non ci è giunto, ma di cui ci parla il principium di C. 5.27.5 di Zenone. La dottrina ancora oggi più seguìta, confidando proprio nella notizia contenuta nell’incipit di questa constitutio, ha ipotizzato che ciò che fu stabilito da Zenone nel 477 d.C. valesse nella sostanza già per l’età di Costantino, dal momento che in essa si dichiarava di volere replicare (“renovantes”) nel proprio tempo il contenuto del più lontano precedente. Tuttavia, il contributo individua dei casi nei quali il verbo ‘renovare’ è adoperato dal legislatore tardoantico pure in presenza di palesi variazioni apportate al dettato più antico, per cui non è difficile immaginare che pure nel caso di C. 5.27.5 i contributi provenienti dalla cancelleria costantiniana e da quella zenoniana possano risultare mescolati in una relazione non facilmente determinabile a priori, riducendosi in questo modo la possibilità di avvalerci della testimonianza di Zenone per ricostruire l’iniziativa legislativa costantiniana. Ciò nonostante, nel principium di C. 5.27.5 sono riposti alcuni indizi significativi, capaci di restituirci la sostanza (se non le litterae) della riforma intrapresa in subiecta materia dal primo Imperatore cristiano. Alludiamo, in particolare, alle parole “super ingenuis concubinis ducendis uxoribus filiis quin etiam ex isdem ... progenitis suis ac legitimis habendis”, scelte dall’estensore di C. 5.27.5 per ritrarre il contenuto della sacratissima constitutio divi Constantini. Ragionando, in particolare, sul possibile valore dei gerundivi “ducendis” e “habendis”, e scegliendo di dare ad essi una interpretazione unitaria, il contributo perviene ad una conclusione che si discosta alquanto dalla communis opinio dottrinale, ritenendo che Costantino non avrebbe semplicemente incentivato (così come Zenone), b

La perduta lex Constantiniana ricordata in C. 5.27.5: spunti per una 'rilettura'

Alessandro Cusmà Piccione
2019-01-01

Abstract

Il saggio tenta di risalire alla disciplina di una legge di Costantino “super concubinis ingenuis”, il cui testo non ci è giunto, ma di cui ci parla il principium di C. 5.27.5 di Zenone. La dottrina ancora oggi più seguìta, confidando proprio nella notizia contenuta nell’incipit di questa constitutio, ha ipotizzato che ciò che fu stabilito da Zenone nel 477 d.C. valesse nella sostanza già per l’età di Costantino, dal momento che in essa si dichiarava di volere replicare (“renovantes”) nel proprio tempo il contenuto del più lontano precedente. Tuttavia, il contributo individua dei casi nei quali il verbo ‘renovare’ è adoperato dal legislatore tardoantico pure in presenza di palesi variazioni apportate al dettato più antico, per cui non è difficile immaginare che pure nel caso di C. 5.27.5 i contributi provenienti dalla cancelleria costantiniana e da quella zenoniana possano risultare mescolati in una relazione non facilmente determinabile a priori, riducendosi in questo modo la possibilità di avvalerci della testimonianza di Zenone per ricostruire l’iniziativa legislativa costantiniana. Ciò nonostante, nel principium di C. 5.27.5 sono riposti alcuni indizi significativi, capaci di restituirci la sostanza (se non le litterae) della riforma intrapresa in subiecta materia dal primo Imperatore cristiano. Alludiamo, in particolare, alle parole “super ingenuis concubinis ducendis uxoribus filiis quin etiam ex isdem ... progenitis suis ac legitimis habendis”, scelte dall’estensore di C. 5.27.5 per ritrarre il contenuto della sacratissima constitutio divi Constantini. Ragionando, in particolare, sul possibile valore dei gerundivi “ducendis” e “habendis”, e scegliendo di dare ad essi una interpretazione unitaria, il contributo perviene ad una conclusione che si discosta alquanto dalla communis opinio dottrinale, ritenendo che Costantino non avrebbe semplicemente incentivato (così come Zenone), b
2019
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