Secondo la Suprema Corte, nulla osta a che il chierico, giudicato in sede canonica per fatti inquadrabili secondo la legge italiana come abusi sessuali a danno di minori, possa essere giudicato per quegli stessi fatti anche dalla giurisdizione statale. Lo scritto approfondisce l’intera questione, vagliando la posizione rivestita dalla giurisdizione canonica rispetto alla giurisdizione penale dello Stato. A tal fine, ci si interroga sull’applicabilità delle norme comuni riguardanti il rinnovamento del giudizio in Italia nei confronti di chi sia già stato giudicato all’estero (art. 11 Cp) e il divieto di un secondo giudizio per chi sia stato prosciolto o condannato in via definitiva (art. 649 Cpp), lette alla luce delle garanzie previste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo o anche risultanti dal diritto internazionale generale e dal diritto sovranazionale. Una particolare analisi è riservata inoltre ai possibili riflessi prodotti dalla norma speciale dell’art. 23, cpv., del Trattato lateranense. Più in generale, secondo l’Autore, la Chiesa, pur continuando a rivendicare la propria autonomia e indipendenza anche nella repressione di questi gravissimi episodi di abuso, si sta sempre più orientando nella direzione di un superamento di ogni posizione di “autosufficienza”, aprendosi alla cooperazione con le autorità civili e confermando così, indirettamente, che la punizione canonica non può rappresentare una sufficiente reazione contro il disvalore di queste condotte.

La repressione degli abusi sessuali dei chierici e il principio del ne bis in idem nei rapporti tra giurisdizione canonica e giurisdizione penale statale

Licastro Angelo
2022-01-01

Abstract

Secondo la Suprema Corte, nulla osta a che il chierico, giudicato in sede canonica per fatti inquadrabili secondo la legge italiana come abusi sessuali a danno di minori, possa essere giudicato per quegli stessi fatti anche dalla giurisdizione statale. Lo scritto approfondisce l’intera questione, vagliando la posizione rivestita dalla giurisdizione canonica rispetto alla giurisdizione penale dello Stato. A tal fine, ci si interroga sull’applicabilità delle norme comuni riguardanti il rinnovamento del giudizio in Italia nei confronti di chi sia già stato giudicato all’estero (art. 11 Cp) e il divieto di un secondo giudizio per chi sia stato prosciolto o condannato in via definitiva (art. 649 Cpp), lette alla luce delle garanzie previste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo o anche risultanti dal diritto internazionale generale e dal diritto sovranazionale. Una particolare analisi è riservata inoltre ai possibili riflessi prodotti dalla norma speciale dell’art. 23, cpv., del Trattato lateranense. Più in generale, secondo l’Autore, la Chiesa, pur continuando a rivendicare la propria autonomia e indipendenza anche nella repressione di questi gravissimi episodi di abuso, si sta sempre più orientando nella direzione di un superamento di ogni posizione di “autosufficienza”, aprendosi alla cooperazione con le autorità civili e confermando così, indirettamente, che la punizione canonica non può rappresentare una sufficiente reazione contro il disvalore di queste condotte.
2022
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