La tensione che anima il lavoro del traduttore è stata sovente espressa attraverso metafore riconducibili alla sfera erotica, sia nel sentire comune, quanto negli stessi scrittori e teorici della traduzione.Si sottolinea infatti spesso,nelle riflessioni sul tradurre, la necessità di un “corpo a corpo” con l’originale che porta a una vicinanza quasi fisica tra i due autori messi a confronto e da cui trapelala pulsione fusionale e osmotica del traduttore. La risultante di questo teso confronto appare comunque quale una formazione di compromesso tra l’aspirazione a una ‘traducibilità’ perfetta e il nuovo testo realmente composto, tra il desiderio di appropriazione dell’originale e l’altrettanto forte spinta agonisticadiimitazione e superamento del modello. Tenendo presente alcuni importanti studi traduttologici sull’argomento, con riferimento precipuo ai contributiche mettono in correlazione la traduzione alla psicoanalisi (come quello di FrançoisPeraldi, Psychanalyse et traduction, “Meta”, XXVII, 1, 1982), si cercherà di sviluppare l’argomento scelto seguendo l’esempio di celebri poeti-traduttori, cominciando con Giacomo Leopardi (il titolo di questa proposta di comunicazione cita proprio un suo pensiero…) che, oltre a formulare teorie della traduzione secondo una prospettiva ‘desiderante’ (nello Zibaldone e nei paratesti delle sue traduzioni), si trova, soprattutto nelle prove giovanili, a dover mediare tra la costrizione imposta dal lavoro minuto di adesione alla lettera del testo e la scoperta di un mondo poetico particolarmente affine al suo sentire (come nel caso degli Scherzi epigrammatici greci di tematica amorosa) di cui si appropria con il gusto del proibito perché ben diverso da quello suggerito nei testi eruditi consigliatigli dal padre Monaldo e dai suoi precettori.E ancora il giovane Leopardi cerca di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di adesione al gusto del tempo, ancora prettamente arcadico nella Recanati di quegli anni, e il desiderio pressante di discostarsi dal testo-source per apportarvi delle variazioni autonome in senso creativo con esiti spesso sorprendenti che rivelano la forza della sua memoria poetica e di traduzione in grado di irradiarsi dai versi classici sino alla poesia dei Canti.Inoltre l’attività di traduzione dei classici greco-latini rappresenta bene il desiderio di gloria di Leopardi da ottenere, come traduttore, «incatenando» il proprio nome a qualcuno dei più illustri autori antichi. Da Leopardi traduttore si proverà poi a passare a Leopardi tradotto. Tra i tanti esempi possibili, quello di Yves Bonnefoy è particolarmente significativo in quanto egli si accosta al poeta di Recanati come traduttore, critico letterario e poeta. In riferimento alla sua bella riscrittura della celebre canzone A Silvia, il letterato francese, inscrive la traduzione da Leopardi entro una precisa dinamica del Desiderio («per quanto insufficiente sia la traduzione, […] essa ha dato forma a un desiderio, rivelato un affetto») che diviene la chiave, nei testi critici, per la comprensione della stessa poesia del Recanatese come avviene nella sua singolare interpretazione del Canto notturno in cui la luna, vicina al pastore, accetta di «boir de son désir, de son ésperance», accompagnandolo «riante». Da eccellente “saggista metatraduttivo”, come lo ha definito Fabio Scotto (ma su quest’argomento si vedano anche i contributi di Giovanni Dotoli), in dialogo costante con la sua stessa opera di traduzione, Bonnefoy riflette, anche a proposito di altri autori tradotti come Shakespeare, sui «fantasmes» del testo che il poeta-traduttore, animato da un forte «désirconceptuel», deve sapere individuare affinchépossa leggerel’opera da tradurre in rapporto al senso enigmatico della poesia e della lettura poetica, al senso cioè del suo Desiderio.

"Quel desiderio ardentissimo di tradurre". Lo Streben della traduzione tra Leopardi e Bonnefoy

Primo N.
2013-01-01

Abstract

La tensione che anima il lavoro del traduttore è stata sovente espressa attraverso metafore riconducibili alla sfera erotica, sia nel sentire comune, quanto negli stessi scrittori e teorici della traduzione.Si sottolinea infatti spesso,nelle riflessioni sul tradurre, la necessità di un “corpo a corpo” con l’originale che porta a una vicinanza quasi fisica tra i due autori messi a confronto e da cui trapelala pulsione fusionale e osmotica del traduttore. La risultante di questo teso confronto appare comunque quale una formazione di compromesso tra l’aspirazione a una ‘traducibilità’ perfetta e il nuovo testo realmente composto, tra il desiderio di appropriazione dell’originale e l’altrettanto forte spinta agonisticadiimitazione e superamento del modello. Tenendo presente alcuni importanti studi traduttologici sull’argomento, con riferimento precipuo ai contributiche mettono in correlazione la traduzione alla psicoanalisi (come quello di FrançoisPeraldi, Psychanalyse et traduction, “Meta”, XXVII, 1, 1982), si cercherà di sviluppare l’argomento scelto seguendo l’esempio di celebri poeti-traduttori, cominciando con Giacomo Leopardi (il titolo di questa proposta di comunicazione cita proprio un suo pensiero…) che, oltre a formulare teorie della traduzione secondo una prospettiva ‘desiderante’ (nello Zibaldone e nei paratesti delle sue traduzioni), si trova, soprattutto nelle prove giovanili, a dover mediare tra la costrizione imposta dal lavoro minuto di adesione alla lettera del testo e la scoperta di un mondo poetico particolarmente affine al suo sentire (come nel caso degli Scherzi epigrammatici greci di tematica amorosa) di cui si appropria con il gusto del proibito perché ben diverso da quello suggerito nei testi eruditi consigliatigli dal padre Monaldo e dai suoi precettori.E ancora il giovane Leopardi cerca di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di adesione al gusto del tempo, ancora prettamente arcadico nella Recanati di quegli anni, e il desiderio pressante di discostarsi dal testo-source per apportarvi delle variazioni autonome in senso creativo con esiti spesso sorprendenti che rivelano la forza della sua memoria poetica e di traduzione in grado di irradiarsi dai versi classici sino alla poesia dei Canti.Inoltre l’attività di traduzione dei classici greco-latini rappresenta bene il desiderio di gloria di Leopardi da ottenere, come traduttore, «incatenando» il proprio nome a qualcuno dei più illustri autori antichi. Da Leopardi traduttore si proverà poi a passare a Leopardi tradotto. Tra i tanti esempi possibili, quello di Yves Bonnefoy è particolarmente significativo in quanto egli si accosta al poeta di Recanati come traduttore, critico letterario e poeta. In riferimento alla sua bella riscrittura della celebre canzone A Silvia, il letterato francese, inscrive la traduzione da Leopardi entro una precisa dinamica del Desiderio («per quanto insufficiente sia la traduzione, […] essa ha dato forma a un desiderio, rivelato un affetto») che diviene la chiave, nei testi critici, per la comprensione della stessa poesia del Recanatese come avviene nella sua singolare interpretazione del Canto notturno in cui la luna, vicina al pastore, accetta di «boir de son désir, de son ésperance», accompagnandolo «riante». Da eccellente “saggista metatraduttivo”, come lo ha definito Fabio Scotto (ma su quest’argomento si vedano anche i contributi di Giovanni Dotoli), in dialogo costante con la sua stessa opera di traduzione, Bonnefoy riflette, anche a proposito di altri autori tradotti come Shakespeare, sui «fantasmes» del testo che il poeta-traduttore, animato da un forte «désirconceptuel», deve sapere individuare affinchépossa leggerel’opera da tradurre in rapporto al senso enigmatico della poesia e della lettura poetica, al senso cioè del suo Desiderio.
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