Nel suo scritto su L’interpretazione della legge processuale (1906), A. Rocco affermava che la legislazione processuale «non sente, se non in via molto lontana e molto indiretta, l’influsso dei mutamenti e delle evoluzioni dei fenomeni sociali», occupandosi del contenitore e non del contenuto. A distanza di un secolo da tale considerazione, invece, ci ritroviamo al centro delle “mobili frontiere” degli istituti processuali, esposti a un tempo di continue riforme e di grande mutamento culturale, sempre più spesso anticipato dalla giurisprudenza (nel nostro caso, quella europea) e talvolta seguito dalla legislazione. Torna allora in mente, a questo proposito, il (diverso) rilievo di Chiovenda secondo cui «fra gli istituti giuridici il processo civile è l’organismo più delicato (…), così i più lievi mutamenti nelle condizioni morali, politiche, sociali del tempo si riflettono nel suo funzionamento». Il tema su cui desidero brevemente intrattenermi attiene, infatti, agli effetti del diritto e della giurisprudenza europea in materia di tutela del consumatore (i portatori del “mutamento culturale”, per l’appunto) su alcuni istituti processuali nazionali, tra i quali, in primis, il giudicato. In verità, il tema è troppo ampio e complesso per essere trattato in questa sede, cosicché ho ritenuto di affrontare la questione partendo da un problema pratico precisamente definito: la tutela processuale del consumatore secondo il diritto europeo, ovvero come gli istituti processuali nazionali debbano garantire la realizzazione dei diritti “inviolabili” del consumatore di matrice europea. Tema che, come si vedrà, incide, a monte, sui limiti oggettivi del giudicato rispetto alle “questioni” non dedotte (ma deducibili) nel processo, nonché, a valle, sull’attitudine accertativa dei processi sommari e sui poteri del giudice dell’esecuzione rispetto al diritto del creditore di procedere.

Le ricadute sul sistema processuale italiano delle pronunce della Corte di giustizia UE 16 maggio 2022.

micali damiano
2023-01-01

Abstract

Nel suo scritto su L’interpretazione della legge processuale (1906), A. Rocco affermava che la legislazione processuale «non sente, se non in via molto lontana e molto indiretta, l’influsso dei mutamenti e delle evoluzioni dei fenomeni sociali», occupandosi del contenitore e non del contenuto. A distanza di un secolo da tale considerazione, invece, ci ritroviamo al centro delle “mobili frontiere” degli istituti processuali, esposti a un tempo di continue riforme e di grande mutamento culturale, sempre più spesso anticipato dalla giurisprudenza (nel nostro caso, quella europea) e talvolta seguito dalla legislazione. Torna allora in mente, a questo proposito, il (diverso) rilievo di Chiovenda secondo cui «fra gli istituti giuridici il processo civile è l’organismo più delicato (…), così i più lievi mutamenti nelle condizioni morali, politiche, sociali del tempo si riflettono nel suo funzionamento». Il tema su cui desidero brevemente intrattenermi attiene, infatti, agli effetti del diritto e della giurisprudenza europea in materia di tutela del consumatore (i portatori del “mutamento culturale”, per l’appunto) su alcuni istituti processuali nazionali, tra i quali, in primis, il giudicato. In verità, il tema è troppo ampio e complesso per essere trattato in questa sede, cosicché ho ritenuto di affrontare la questione partendo da un problema pratico precisamente definito: la tutela processuale del consumatore secondo il diritto europeo, ovvero come gli istituti processuali nazionali debbano garantire la realizzazione dei diritti “inviolabili” del consumatore di matrice europea. Tema che, come si vedrà, incide, a monte, sui limiti oggettivi del giudicato rispetto alle “questioni” non dedotte (ma deducibili) nel processo, nonché, a valle, sull’attitudine accertativa dei processi sommari e sui poteri del giudice dell’esecuzione rispetto al diritto del creditore di procedere.
2023
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