Lungi dal costituire una “falda” ormai del tutto esaurita, nell’attuale Stato costituzionale la tematica della insindacabilità giurisdizionale dell’atto c.d. politico sembra ancora feconda di interrogativi e meritevole di essere più approfonditamente esplorata. Il presente contributo si propone una disamina della questione da un duplice angolo visuale: per un verso, dalla prospettiva adottata dalla giurisprudenza costituzionale in materia di intese tra lo Stato e le confessioni diverse da quella cattolica ex se; per un altro, da quella utilizzata nel seguito che essa ha ricevuto, per così dire extra se, ad opera di quella amministrativa e di legittimità più recenti. Nella categoria di atti in esame si rinviene, dunque, una sorta di nucleo concentrico: l’uno più interno, di tipo politico, come tale maggiormente attinente all’esercizio del puro potere; l’altro più esterno, a carattere giuridico, in quanto tale maggiormente incidente sul diverso profilo dei diritti. Anche all’esito della presente indagine, si conferma l’ineliminabile ruolo svolto dalla Carta costituzionale come garanzia dei diritti fondamentali e, per ciò solo, quale limite al potere politico. Saldamente imbrigliato, e costretto a rinunziare alla sua connaturata aspirazione all’onni-potenza, pure in questa occasione il potere politico non può che al massimo ambire alla propria pluri- (o multi-) potenza innanzi al solido argine rappresentato dalla presenza di una Costituzione scritta e rigida.

Dalla onni-potenza alla pluri-potenza del potere politico: la questione dell’insindacabilità dell’atto politico nella giurisprudenza costituzionale in materia di intese Stato-confessioni acattoliche (e nel suo più recente seguito giurisprudenziale)

Stefano Agosta
2024-01-01

Abstract

Lungi dal costituire una “falda” ormai del tutto esaurita, nell’attuale Stato costituzionale la tematica della insindacabilità giurisdizionale dell’atto c.d. politico sembra ancora feconda di interrogativi e meritevole di essere più approfonditamente esplorata. Il presente contributo si propone una disamina della questione da un duplice angolo visuale: per un verso, dalla prospettiva adottata dalla giurisprudenza costituzionale in materia di intese tra lo Stato e le confessioni diverse da quella cattolica ex se; per un altro, da quella utilizzata nel seguito che essa ha ricevuto, per così dire extra se, ad opera di quella amministrativa e di legittimità più recenti. Nella categoria di atti in esame si rinviene, dunque, una sorta di nucleo concentrico: l’uno più interno, di tipo politico, come tale maggiormente attinente all’esercizio del puro potere; l’altro più esterno, a carattere giuridico, in quanto tale maggiormente incidente sul diverso profilo dei diritti. Anche all’esito della presente indagine, si conferma l’ineliminabile ruolo svolto dalla Carta costituzionale come garanzia dei diritti fondamentali e, per ciò solo, quale limite al potere politico. Saldamente imbrigliato, e costretto a rinunziare alla sua connaturata aspirazione all’onni-potenza, pure in questa occasione il potere politico non può che al massimo ambire alla propria pluri- (o multi-) potenza innanzi al solido argine rappresentato dalla presenza di una Costituzione scritta e rigida.
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