Questo contributo si concentra sul film "L’America me l’immaginavo. Storie di emigrazione dall'isola siciliana di Marettimo" (1991) di Alina Marazzi, che ricostruisce l'esperienza della migrazione dall'isola siciliana di Marettimo agli Stati Uniti, agli inizi del Novecento. La narrazione procede attraverso i ricordi e le testimonianze di donne che hanno vissuto direttamente i fatti ripercorsi dal film, a causa della partenza degli uomini dell'isola: padri, mariti e figli, salpati per trovare un lavoro e un salario migliore. Lo spazio soggettivo si costruisce attraverso l'estetica della riappropriazione dei materiali, inglobando alcuni fondamentali strumenti di (auto)rappresentazione: la fotografia, i filmati amatoriali, le corrispondenze scritte, che si alternano alle interviste raccolte durante la realizzazione del film. I discorsi intimi mettono in discussione la presunta oggettività della narrazione storica, proprio come l’uso creativo del found footage mostra il potenziale dialettico dell’immagine nel suo rapporto con il passato. Il lavoro estetico di riappropriazione, insieme alla raccolta sistematica di testimonianze personali, porta il film ad aprire una riflessione sulla soggettività sessuale, sull'identità di genere e sull'autorappresentazione. This article analyses the film L’America me l’immaginavo. Storie di emigrazione dall’isola siciliana di Marettimo (1991) by Alina Marazzi, which reconstructs the experience of migration from the Sicilian island of Marettimo to the United States, at the beginning of the twentieth century. The narration proceeds through the memories and testimonies of women who directly experienced the facts retraced by the film, due to the departure of the men of the island: fathers, husbands and children, sailed to find a better job and salary. The subjective space is built through the aesthetics of re-appropriation of materials, encompassing some fundamental (self)-representation tools: photography, home movies, written corre- spondences, which are alternated with the interviews collected during the making of the film. The intimate discourses question the supposed objectivity of the his- torical narrative, just as the creative use of found footage exhibits the dialectical potential of the image in its relationship with the past. The article considers how the aesthetic work of re-appropriation and the systematic collection of testimonies lead the film to open a reflection on sexual subjectivity, gender identity and self-representation.

«Ho contato nelle tue lettere 47 volte la parola pazienza»: found footage e spazio femminile in "L’America me l’immaginavo"

Busetta, Laura
2021-01-01

Abstract

Questo contributo si concentra sul film "L’America me l’immaginavo. Storie di emigrazione dall'isola siciliana di Marettimo" (1991) di Alina Marazzi, che ricostruisce l'esperienza della migrazione dall'isola siciliana di Marettimo agli Stati Uniti, agli inizi del Novecento. La narrazione procede attraverso i ricordi e le testimonianze di donne che hanno vissuto direttamente i fatti ripercorsi dal film, a causa della partenza degli uomini dell'isola: padri, mariti e figli, salpati per trovare un lavoro e un salario migliore. Lo spazio soggettivo si costruisce attraverso l'estetica della riappropriazione dei materiali, inglobando alcuni fondamentali strumenti di (auto)rappresentazione: la fotografia, i filmati amatoriali, le corrispondenze scritte, che si alternano alle interviste raccolte durante la realizzazione del film. I discorsi intimi mettono in discussione la presunta oggettività della narrazione storica, proprio come l’uso creativo del found footage mostra il potenziale dialettico dell’immagine nel suo rapporto con il passato. Il lavoro estetico di riappropriazione, insieme alla raccolta sistematica di testimonianze personali, porta il film ad aprire una riflessione sulla soggettività sessuale, sull'identità di genere e sull'autorappresentazione. This article analyses the film L’America me l’immaginavo. Storie di emigrazione dall’isola siciliana di Marettimo (1991) by Alina Marazzi, which reconstructs the experience of migration from the Sicilian island of Marettimo to the United States, at the beginning of the twentieth century. The narration proceeds through the memories and testimonies of women who directly experienced the facts retraced by the film, due to the departure of the men of the island: fathers, husbands and children, sailed to find a better job and salary. The subjective space is built through the aesthetics of re-appropriation of materials, encompassing some fundamental (self)-representation tools: photography, home movies, written corre- spondences, which are alternated with the interviews collected during the making of the film. The intimate discourses question the supposed objectivity of the his- torical narrative, just as the creative use of found footage exhibits the dialectical potential of the image in its relationship with the past. The article considers how the aesthetic work of re-appropriation and the systematic collection of testimonies lead the film to open a reflection on sexual subjectivity, gender identity and self-representation.
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