Allo scorcio del periodo romano imperiale, dopo la guerra servile negli anni dell’imperatore Gallieno (253-268)1 e un precedente ridimensionamento progressivo dell’attività cerealicola in favore della pastorizia2 e di altre colture a maggior valore, come la vite e l’ulivo, la Sicilia fu una provincia relativamente pacificata ed economicamente prospera, poiché dal 332, quando l’annona egiziana era stata dirottata verso Costantinopoli, tornò a essere protagonista dell’approvvigionamento di grano a Roma e nel corso del IV secolo si rinsaldarono i rapporti commerciali con il Nord Africa3. Tuttavia, nel V secolo soffrì incursioni di saccheggio a opera dei Vandali che si muovevano dalle quelle coste. Nel 535, l’Isola fu riconquistata dall’Impero bizantino e saccheggiata poi dagli Ostrogoti nel corso della guerra greco-gotica, ma, al termine della conquista giustinianea, tornò a essere un territorio relativamente tranquillo4. Protetta dal mare, alla Sicilia furono risparmiati i saccheggi inflitti all’Italia bizantina dagli invasori longobardi verso la fine del VI secolo e gli inizi del VII, sicché mantenne una vita urbana alquanto vivace e un’amministrazione civile senza dubbio attiva, mentre le campagne non subirono trasformazioni di particolare rilievo5. Fu solo in seguito all’ascesa della minaccia musulmana che le cose sarebbero cambiate. Come osservava, già all’inizio del secolo scorso, lo storico inglese John Bagnell Bury: «[…] terra florida e possesso desiderabile di per sé, la posizione centrale della Sicilia tra i due bacini del Mediterraneo la rendeva un obiettivo di importanza suprema per ogni potenza marittima orientale che fosse commercialmente o politicamente aggressiva; mentre per un sovrano ambizioso in Africa era la porta di accesso all’Italia e alle porte dell’Adriatico»6. Di conseguenza, il disegno di conquista dell’isola e di zone dell’Italia meridionale fu un obiettivo dei Musulmani a partire dalla fondazione della loro forza marinara e le prime incursioni furono condotte sin dal 652 da Muʿāwiya Ḥudayj, della tribù dei Kinda, protraendosi per alcuni anni e producendo razzia di uomini e beni, malgrado l’esarca di Ravenna Olimpio opponesse una strenua resistenza7. Nel corso della lunga e articolata epoca della presenza musulmana nell’Isola, in cui si susseguirono emiri di diverse dinastie, fu mantenuto uno stato di guerra praticamente costante, sia per la conquista dei resistenti territori bizantini sia per l’assestamento interno del potere militare e l’esercizio del dominio economico. Le trasformazioni demiche del territorio siciliano e le conseguenti migrazioni interne, che a loro volta comportarono abbandoni di centri urbani e terre, nuovi insediamenti più o meno duraturi, contrazione degli abitanti e ripopolamenti, furono fasi che senza dubbio si susseguirono caoticamente e che è difficile decifrare con precisione. Per questa ragione, fondamentalmente, è opportuno seguire sin dalle prime mosse della penetrazione araba la successione degli eventi bellici, che sono complessi, articolati, non sempre di univoca lettura, spesso contradditori e ancora oggetto di dibattito, ma che consentono di prospettare un quadro complessivo della mobilità umana sul suolo siciliano e parte del Mezzogiorno peninsulare tra VIII e XI secolo. Primi tentativi d’invasione. In seguito alla conquista omayyade nel Nord dell’Africa, la Sicilia divenne una cruciale base strategica bizantina e per un breve periodo, tra il 661 e il 668, fu la residenza della corte imperiale sotto Costante II8, costituendosi poi come Thema intorno al 6909. Dopo le prime incursioni, condotte nei decenni precedenti dalla tribù dei Kinda e altri gruppi islamici, una seconda spedizione araba, composta da 200 navi salpate da Alessandria d’Egitto, ebbe luogo nel 669, quando fu saccheggiata Siracusa e il suo territorio, mentre intorno al 700 fu occupata Pantelleria da ʿAbd al-Malik Qaḥṭān10. In seguito alla conquista omayyade del Nord Africa, nel VII secolo, gli attacchi alla Sicilia a scopo di saccheggio si fecero ripetuti e continui, verificandosi nel 703, 728, 729, 730, 731 e protraendosi nella prima metà dell’VIII secolo, ma l’Isola non sarebbe stata mai seriamente minacciata fino a quando gli Ommiadi non avrebbero completato la conquista del Nord Africa e della Spagna11. La prima vera spedizione per la conquista della Sicilia fu programmata nel 740, quando il principe musulmano Habib, che aveva partecipato all’occupazione di Siracusa nel 728, iniziò l’impresa, sebbene fosse costretto a rinunciarvi a causa di una rivolta berbera in Tunisia. Una nuova ribellione dei Berberi, nel 752, avrebbe a sua volta impedito al governatore di Ifrīqiya, ʿAbd al-Raḥmān al-Fihrī, di invadere l’isola con una forza a quanto pare imponente12. Nel 799, Ibrāhīm al-Aghlab, riconosciuto emiro di Ifrīqiya da parte del califfo abbaside Hārūn al-Rashīd, fu il fondatore della dinastia degli Aghlabidi e creò uno Stato indipendente in Tunisia13. Nell’805 l’emiro, impegnato a fronteggiare gli Idrisidi14, concluse una tregua decennale con il governatore bizantino di Sicilia, Costantino, che fu rinnovata dal suo successore Abu’l-Abbas nell’813. Questa fu, senza dubbio, una parentesi di pace e prosperità per la popolazione della Sicilia, alla luce del fatto che sono attestati intensi traffici commerciali con il Nord Africa ed è registrata la presenza di mercanti e viaggiatori arabi sull’Isola15. La tregua, tuttavia, non impedì che corsari provenienti dall’Africa e dalla Spagna musulmana attaccassero ripetutamente, tra l’806 e l’821, la Sardegna e la Corsica e, nell’812, il figlio di Ibrāhīm, ʿAbd Allāh I Ibrāhīm, ordinò un’invasione della Sicilia. Le sue navi, però, furono prima ostacolate dall’intervento di Gaeta e Amalfi e poi distrutte in gran parte da una tempesta, riuscendo tuttavia a conquistare l’isola di Lampedusa16 e depredare e devastare Ponza e Ischia. Un successivo accordo tra il nuovo patrizio Gregorio e l’Emiro stabilì la libertà di commercio tra l’Italia meridionale e l’Ifrīqiya. Dopo un nuovo attacco nell’819 di Muḥammad ʿAbd Allāh, cugino dell’emiro Ziyādat Allāh, sulle fonti non sono citate aggressioni musulmane contro la Sicilia fino all’827. Il pretesto per l’invasione della Sicilia fu fornito nell’827 dalla rivolta del tumarca Eufemio, comandante della flotta bizantina dell’Isola17. Secondo resoconti tardi e forse fittizi, innamoratosi di una suora, l’aveva costretta a sposarlo, suscitando le proteste dei fratelli della religiosa che giunsero fino all’Imperatore Michele II. Questi ordinò allo strategos dell’Isola, Fotino, di indagare sulla questione e, nel caso le accuse fossero verificate, procedere alla punizione di Eufemio mutilandolo del naso18. Quando Eufemio, di ritorno da un’incursione navale contro la costa africana, apprese che stava per essere arrestato, salpò per Siracusa, che occupò, mentre Fotino cercò riparo a Catania. Eufemio ben presto riuscì ad ottenere il supporto di una larga parte dei comandanti militari della Sicilia e non solo respinse un tentativo da parte di Fotino di recuperare Siracusa, ma lo inseguì, lo scacciò da Catania e alla fine lo catturò e lo giustiziò, facendosi proclamare imperatore19. Alexander Vasiliev mette in dubbio la veridicità della storia “romantica” sulle origini della rivolta di Eufemio, e ritiene che l’ambizioso generale, semplicemente, sfruttasse il momento opportuno per rivoltarsi: all’epoca, infatti, il governo centrale bizantino risultava indebolito a causa della recente rivolta di Tommaso lo Slavo e della conquista islamica di Creta20. A questo punto, tuttavia, Eufemio subì la defezione di uno dei suoi alleati a lui più vicini e più potenti, un uomo noto dalle fonti arabe come «Balaṭa»21, e di suo cugino Michele, comandante di Palermo. I due uomini denunciarono l’usurpazione da parte di Eufemio del titolo imperiale e marciarono contro Siracusa, sconfissero Eufemio e s’impadronirono della città22. Come Elpidio, uno dei suoi predecessori che si era rivoltato contro l’Imperatrice Irene23, anche Eufemio risolse di cercare riparo presso i nemici dell’Impero e con pochi seguaci salpò per il Nord Africa. Da qui inviò una delegazione alla corte aghlabide di Qayrawān, richiedendo all’emiro Ziyādat Allāh un esercito perché sostenesse la sua conquista della Sicilia: in cambio, una volta conquistata l’Isola, Eufemio avrebbe pagato agli Aghlabidi un tributo anno24. Quest’offerta era una grande opportunità per Qayrawān, che doveva fronteggiare crescenti tensioni tra musulmani, dissensi e rivolte all’interno dell’élite governante araba (il jund) e critiche dei “dotti” musulmani causate dal suo stile di vita lussurioso. Come scrive Alex Metcalfe, «[…] intraprendendo un jihād per espandere le frontiere dell’Islam a spese degli infedeli con la conquista [la prima impresa maggiore dall’invasione della Penisola iberica del 711] avrebbero potuto zittire le critiche dei giuristi. Allo stesso tempo, avrebbero potuto reindirizzare le energie dell’irrequieto jund ifriqiyano lungo il canale di Sicilia per assicurarsi nuove fonti di soldati e di ricchezze»25. I consiglieri di Ziyādat Allāh erano divisi sulla questione, ma alla fine le esortazioni del rispettato Qāḍī malikita di Qayrawān, l’anziano Asad ibn al-Furat, colto giurisperito autore della notissima Asadiyya di origine persiana del Khorāsān, convinsero l’Emiro, e il settantenne Asad fu posto alla testa della spedizione26. 827: lo sbarco di Asad ibn al-Furat. Malgrado la Sicilia avesse subito incursioni da parte dei Musulmani fin dalla metà del VII secolo, esse erano finalizzate al saccheggio e non minacciarono mai il controllo bizantino. La conquista islamica della Sicilia ebbe inizio nell’827, con lo sbarco presso Mazara, e si sarebbe conclusa nel 902 con la conquista di Taormina, anche se l’ultima città bizantina del thema di Sikelia a cadere sarebbe stata Rometta nel 965. Pare che l’esercito musulmano consistesse di diecimila fanti e settecento cavalieri, per lo più Musulmani dell’Ifrīqiya, ma forse anche di alcuni Persiani originari del Khorāsān, come la stessa famiglia d’origine di Asad, tutti trasportati con una flotta composta da settanta o cento navi, alle quali vanno aggiunti i vascelli di Eufemio: come dice Amari, «Sommò lo esercito a settecento cavalli e diecimila fanti; il navilio a settanta o secondo altri cento barche»27. Salpati dalla baia tunisina di Susa il 14 giugno 827, l’armata composta da arabi, berberi e persiani giunse sull’Isola tra il 16 e il 17 giugno e lo sbarco avvenne a Capo Granitola, presso Campobello di Mazara. Fu subito occupata la vicina Mazara del Vallo (che diventerà emirato), e quindi Lilibeum (poi chiamata Marsala, in arabo Marsa ʿAlī, “il porto di Alì” o Marsa Allāh, il “porto di Dio”) ed entrambi i centri furono fortificati e usati come testa di ponte e base di attracco per le navi. Gli islamici si unirono con i soldati fedeli a Eufemio, sebbene pare finissero per scontrarsi con costoro e lo stesso Asad decidesse di condurre la campagna senza la partecipazione del turmarca. Probabilmente, fu in seguito a questi eventi che Eufemio cominciò a pentirsi della sua alleanza con gli Aghlabidi e aprì segretamente contatti con i Bizantini, esortandoli a resistere agli Arabi28. Il governo bizantino inviò alcune spedizioni per respingere gli invasori, ma impegnato nel conflitto contro gli Abbasidi sulla frontiera orientale e nel Mar Egeo contro i Saraceni di Creta, fu incapace di trovare forze sufficienti per scacciare i Musulmani, i quali per i successivi tre decenni saccheggiarono i possedimenti dell’isola trovando un’opposizione quasi nulla. La fortezza di Enna, al centro dell’isola, fu il principale baluardo bizantino contro l’invasione musulmana, fino alla sua caduta nell’859. Gli islamici aumentarono poi la loro pressione sulla parte orientale dell’isola e, dopo un lungo assedio, espugnarono Siracusa nell’878. I Bizantini mantennero il controllo di alcune fortezze nel quadrante nordorientale ancora per qualche decennio, e i loro tentativi di riconquista continuarono fino all’XI secolo, anche se furono incapaci di sfidare seriamente il controllo arabo. Complessivamente, il periodo di dominazione musulmana della Sicilia, che durò sino allo sbarco dei Normanni presso Messina nel 1061, l’occupazione di Palermo nel 1072 e infine la caduta di Noto nel 1091, può essere suddiviso in tre parti: la prima, tra l’827 e il 910, quando la Sicilia aveva un governatore nominato dall’emiro aghlabide di Qayrawan, ma alcune città erano ancora bizantine (Siracusa cadde nell’878, Taormina nel 902 e Rometta nel 965); la seconda parte, fra il 910 e il 948, durante la quale i governanti erano fatimidi; la terza, dal 948 al 1072, distinta nell’epoca dei Kalbiti, una dinastia sciita-ismailita voluta dall’Imam fatimide, che finì per governare l’Isola da vero e proprio emirato siciliano ma dipendente dai Fatimidi29. Questa fase finale della dinastia kalbita avrebbe segnato la nascita di una sorta di poliarchia con l’affermazione di emiri indipendenti. Ma cerchiamo di analizzare sinteticamente i tre periodi durante i quali si svolsero le vicende dell’Isola nei circa tre secoli della dominazione araba, al fine di scorgere elementi utili a individuare movimenti demici e trasformazioni antropologiche del territorio siciliano. Flussi umani significativi si verificarono senza dubbio all’inizio dell’invasione islamica, quando Asad si spostò con le sue truppe da Mazara per raggiungere Siracusa, attraverso le coste meridionali dell’Isola. In questa fase delle operazioni, mentre Asad si fermò per alcuni giorni presso la città di Qurra (forse l’antica Acrae), sarebbe sopraggiunta una poderosa armata, composta forse da quarantamila guerrieri, inviata come rinforzo dall’emiro di Barberia. Come riporta Tommaso Fazello: «Secondo la leggenda, l’emiro di Barberia, inviò in Sicilia 40.000 guerrieri, fra i quali un capo di nome Halcamo. Costui, sbarcato a Mazara, diede alle fiamme le proprie navi, per significare che, ormai, non era più questione di tornare indietro e che la Sicilia, in un modo o nell’altro, doveva essere occupata. Poi s’impadronì di Selinunte e, per domare subito l’Isola con un esempio ammonitore, prese vari cittadini e li fece cuocere vivi in caldaie di rame. In seguito a tale episodio, le altre città, terrorizzate, si arresero. Volendo, però, il capo saraceno prepararsi a qualsiasi eventualità, edificò un castello, che da lui prese il nome, e vi stabilì la propria dimora. I Siciliani, riavutisi dal primo sgomento, assediarono il castello, ma Halcamo resisté, fino a che dall’Africa non giunse un nuovo contingente di saraceni, che sottomisero definitivamente gli insorti»30. I Musulmani ripresero intanto la propria avanzata e assediarono Siracusa, che Bisanzio non fu in grado di soccorrere perché costretta a fronteggiare un’invasione islamica a Creta, mentre sull’Isola continuarono a riversarsi schiere di rinforzo dal Nord Africa. Questi flussi sarebbero continuati per l’intero periodo in cui la Sicilia fu governata in nome degli emiri aghlabidi, sino al 91031, quando soprattutto il Val di Noto e quello di Mazara furono interessati da un cospicuo mescolamento demico tra i nuovi arrivati e le aree urbane occupate dai Bizantini, con l’eccezione delle terre montuose nord-orientali dell’Isola32, difficilmente accessibili e costellate da insediamenti monastici greci che sarebbero sopravvissuti all’età degli emiri. Qui, vi è poca evidenza di campagne militari su larga scala o di battaglie in campo aperto, come avveniva intanto nelle pianure presso Mazara e in occasione dei numerosi assedi nei territori centro meridionali (intorno a Enna, Mineo, Girgenti, Modica, Ragusa, Noto, Scicli)33 e di Palermo nell’831; infatti, la graduale conquista dell’isola consistette soprattutto in ripetuti attacchi arabi alle cittadelle bizantine, accompagnati da incursioni (sa’ifa) nelle campagne e nei sobborghi, con lo scopo di saccheggio e di ottenimento di tributi e prigionieri dalle località minacciate. Nel frattempo, all’arrivo di truppe islamiche, che nell’830 furono rimpolpate da guerrieri provenienti anche da al-Andalus e mercenari berberi guidati da Farghalūs, si contrapponevano tentatavi di recupero da parte dei Bizantini, che in varie occasioni inviarono a loro volta flotte di milites dall’Oriente e dalla Penisola34. La progressiva conquista dell’Isola, nel corso del IX secolo, fu costellata di battaglie e assedi a danno dei principali centri, culminati intorno all’845 con la battaglia di Butera, che costò la vita ad almeno novemila bizantini e fu decisiva per il controllo della Sicilia. Analogo massacro della popolazione greca sarebbe avvenuto dopo la caduta di Siracusa nell’878, nel corso della quale circa cinquemila abitanti furono uccisi o deportati. Altri massacri sicuramente si verificarono nella fasi successive della conquista islamica, quando furono prese Catania, Taormina (902) e Rometta, ultima roccaforte della resistenza bizantina, caduta nel 965 a opera dei Fatimidi, che già da alcuni anni avevano sostituito gli Aghlabidi. In questo lasso di tempo, assume rilievo la spedizione intrapresa dall’ex emiro Ibrahim II, che nel 902 tentò di risalire la Penisola, con la velleitaria idea di giungere addirittura fino a Costantinopoli, ma la sua marcia si arrestò nei dintorni di Cosenza. Dal 910 al 948 l’isola fu governata dai Fatimidi, che avevano messo fine all’emirato aghlabide in Ifrīqiya nei primi anni del X secolo e, nel 915, a seguito di un accordo di tregua con l’imperatrice di Bisanzio Zoe, che concedeva la somma di 22000 monete d’oro, i berberi agrigentini, che avrebbero voluto proseguire le scorrerie nell’Italia meridionale, si ribellarono; la rivolta infiammò l’intera Isola, ma fu sedata dall’arrivo di truppe musulmane dall’Africa, che dopo aver sottomesso Palermo, avviarono un ventennio di pace e prosperità35. Nel 937 però, una nuova rivolta di Agrigento scosse le popolazioni del Val di Mazara, con l’arrivo di un grosso esercito fatimida e un nuovo assedio di Palermo, che peraltro avrebbe determinato la costruzione della cittadella fortificata della Kalsa. Gli scontri tra Fatimidi e Berberi continuarono a scuotere l’intero Val di Mazara sino al 940, quando giunse un esercito bizantino a porre fine ai tumulti36. Anche le terre orientali della Sicilia e le sue popolazioni, sino alla metà del secolo, continuarono a essere sconvolte da conflitti tra le forze islamiche e quelle bizantine: Taormina si liberò dal controllo musulmano dopo la conquista del 90237, e fu solo nel 962, probabilmente in risposta alla recente riconquista bizantina di Creta, che i Fatimidi riconquistarono la città, in seguito a un lungo ed estenuante assedio durato trenta settimane38. Allo stesso tempo proseguirono la conquista verso l’area dello Stretto, difesa da una spedizione inviata a Messina dal basileus Niceforo Foca, che dopo la caduta di Rometta e la sconfitta navale si ritirò in Calabria e, nel 967, fu siglata una tregua39. Nel 948, quando l’emirato fatimida fu spostato in Egitto, la conduzione dell’isola fu affidata, con la più ampia autonomia, ai suoi fedeli emissari kalbiti, che sotto Hasan e Ahmad crearono un emirato indipendente, fedele al governo del Cairo solo per ciò che riguardava l’aspetto religioso. Il dominio della dinastia kalbita, durato oltre cento anni, corrisponde anche all’epoca d’oro della Sicilia islamica, un periodo prospero, ricco di arte e cultura40, durante il quale la Sikelia fu suddivisa amministrativamente in tre valli (aqālīm): Val di Mazara, Valdemone e Val di Noto. Si avviò un’epoca di stabilità e prosperità per la popolazione isolana, che sarebbe culminata sotto gli Emiri Ysuf e Giafar II tra il 989 e il 1019, quando l’Emirato di Sicilia raggiunse altissimi livelli di progresso e raffinatezza e l’apice della sua potenza politica e militare come anche nel campo economico e scientifico letterario. Tuttavia, in epoca kalbita continuarono a verificarsi rivolte interne, come a Palermo nel 948, e scontri con i territori che ancora resistevano sotto i Bizantini, come quello del 951 con l’imperatore Costantino VII Porfirogenito e ancora le numerose campagne militari condotte tra il 951 e il 957 contro le città bizantine oltre lo Stretto, che rifiutavano di pagare la gizyah41. L’arrivo di nuovi contingenti musulmani dalla capitale africana dei Fatimidi avrebbe consentito la ripresa della conquista, culminata con la definitiva presa di Taormina nel 962 e la caduta di Rometta nel 96542, mentre nuovi scontri etnici tra berberi e arabi avrebbero animato le vicende del territorio palermitano sino allo scorcio del X secolo43. Anche se alcune fortezze nel nord-est non erano ancora state conquistate ed erano rimaste in mani cristiane44, la caduta di Taormina segnò la fine effettiva della Sicilia bizantina e il consolidamento del controllo musulmano sull’Isola45. Tuttavia, non sancì la fine delle guerre tra Arabi e Bizantini per il possesso dell’isola né la scomparsa della cultura greca. Come scriveva ai primi del Novecento lo storico e archeologo tedesco Adolf Holm: «I Greci erano sbarcati in Sicilia nel 735 a.C.; nel 902 perderono quasi ultimo questo luogo medesimo. La lingua greca era stata parlata in Sicilia per 1637 anni da liberi cittadini. L’ellenismo aveva impiegato molto tempo prima di prendere il sopravvento sulle altre nazionalità dell’isola, e per lungo tempo anche era durata la lotta per la distruzione di esso. Ma quanto più fu tardo, tanto più radicale ne fu l’annientamento»46. Dopo la tregua del 967, il teatro dei conflitti si spostò al di là dello Stretto, coinvolgendo anche l’intervento dell’imperatore germanico Ottone II, nel 982, che fu sconfitto dai Kalbiti nella battaglia di Stilo47. Nel frattempo, i Bizantini, che alla guida del catapano Basilio Boioannes si erano consolidati nella Penisola, dal 1020 avrebbero ripreso le operazioni militari sull’Isola e nel 1025 un esercito consistente sbarcò a Messina48. Un ultimo tentativo di riprendere possesso della Sicilia fu effettuato nel 1038 dal generale Giorgio Maniace, mentre l’isola era attraversata dai conflitti tra Kalbiti e Ziridi49. La costa nord-orientale dell’Isola fu coinvolta in una nuova fase di lotte e devastazioni, tra cui una battaglia presso Randazzo e l’assedio di Siracusa nel 1040, che culminarono nel 1042 con la riconquista araba di Messina, ultimo avamposto bizantino in Sicilia50. La dinastia sciita-ismailita dei Kalbiti, all’inizio dell’XI secolo, aveva finito per governare l’Isola da vero e proprio emirato siciliano, seppur dipendente dai Fatimidi51, fino al 1052, quando l’ultimo emiro Ḥasan II al-Ṣāmṣām fu deposto dai palermitani, che proclamarono una sorta di “Repubblica islamica”, durata vent’anni, sotto il dominio di un ristretto e potente gruppo di aristocratici. Dopo il 1050, tuttavia, vi furono vari Emirati indipendenti52, cioè quelli di Palermo53; Mazara del Vallo e Trapani54; Messina55; Siracusa e Noto56; Enna57, sostituita poi con Agrigento58 e, ancora dopo, entrambe le città59; infine, Catania60. Negli anni che seguirono, gli Arabi di Sicilia, ormai dilaniati da conflitti interni e retti da tre emirati di fatto indipendenti61, avrebbero resistito sino allo sbarco dei Normanni presso Messina nel 1061 e alla perdita dei loro ultimi baluardi sull’Isola: Siracusa, difesa da Benavert fino al 1086, e Noto, caduta nel 109162. Una visione d’insieme. La lunga contesa tra Arabi e Bizantini per il possesso della Sicilia avrebbe lasciato tracce notevoli nella storia successiva dell’isola: anche se sotto la dominazione musulmana la cultura siciliana subì un notevole influsso della cultura araba, le comunità cristiane nelle parti centrale e orientale resistettero in larga parte all’islamizzazione. Il livello dell’influsso arabo, come attestato anche dai toponimi sopravvissuti, variava anche da zona a zona dell’isola, a seconda del grado di resistenza o delle dimensioni dell’insediamento arabo: vi sono molti nomi di derivazione araba nella parte occidentale (Val di Mazara), una situazione intermedia nella parte sudorientale (Val di Noto), mentre le identità cristiane sopravvissero più tenacemente nella parte nordorientale (Valdemone). Questa fu l’ultima a cadere, e qui si erano rifugiati i cristiani in fuga da altre parti della Sicilia, attraversate da continui conflitti e devastazioni, e che inoltre erano rimaste in contatto con l’Italia meridionale bizantina e, culturalmente, con la stessa Costantinopoli63. E non è certamente un caso che, dopo lo sbarco a Messina nel 1061, i Normanni avrebbero conquistato il Valdemone in appena due anni, mentre l’assoggettamento totale dell’isola li avrebbe impegnati ancora per un trentennio. Negli anni dell’emirato, il panorama antropologico dell’Isola subì evidentemente consistenti modifiche per via di flussi demici, provenienti sia dalle coste del Nord Africa, composti da agricoltori, mercanti, artigiani e amministratori musulmani, sia da ricollocamenti interni della popolazione che progressivamente si convertiva all’Islam ed era inquadrata all’interno del meccanismo economico e produttivo, nelle campagne e nei centri urbani maggiormente islamizzati della parte occidentale dell’Isola. Il territorio di Palermo (Balarm), residenza dell’emiro, fu interessato più degli altri tanto da un notevole sviluppo demografico e urbanistico64, raggiungendo attorno al 1050 i 350.000 abitanti alla stregua di Cordova e Costantinopoli65, quanto da una prospera attività artigianale e agricola nella fertile “Conca d’Oro”. La geografia dell’Isola complessivamente si trasformò, e di conseguenza la distribuzione umana, per via della riduzione della monocoltura granaria e della frammentazione del latifondo, che risaliva al tardo impero, da cui derivò progressivamente un paesaggio costellato da una varietà di colture intensive, accanto a cereali, viti e ulivi, che era una coltivazione asciutta e non richiedeva irrigazione. Nuove piante furono introdotte per la prima volta e diffuse nelle pianure dell’Isola, quali l’arancio, il limone, il gelso, le palme da dattero, la canna da zucchero (cannameli), il papiro e gli ortaggi, la cui coltivazione comportò importanti opere di dissodamento e interventi irrigui66. C’è da dire, inoltre, che la fine del latifondo e l’avvio di una diversa distribuzione e sfruttamento delle terre e della popolazione, fu determinata anche dalla norma islamica che assegnava ai combattenti i quattro quinti delle terre conquistate, riservando il rimanente quinto allo Stato67; altre attività che certamente modificarono la distribuzione umana e quella degli abitati furono quelle minerarie, in relazione al rigoglio delle attività produttive, belliche e artigianali, e alla ripresa della monetazione68. Si calcola che, nella Sicilia occidentale, si convertisse metà della popolazione, attratta dalla prospettiva di svincolarsi dall’imposizione della dhimma, più gravosa rispetto al pagamento della zakāt richiesto ai sudditi musulmani. Solo il Valdemone rimase pressoché interamente cristiano e, per certi versi, isolato e quasi ibernato attorno a comunità monastiche di rito greco e poche residue fondazioni episcopali cattoliche, giacché lo statuto giuridico della dhimma, che dichiarò soppressi i vescovadi, proibiva ai cristiani di fare proselitismo e di edificare nuovi luoghi di culto, sebbene consentisse la pratica privata e nelle chiese già esistenti69. Allo stesso tempo, parte della popolazione non araba dell’Isola fu ridotta in schiavitù e deportata a Qayrawan, capitale fatimida dell’Africa nord-occidentale, mentre uno spostamento inverso sarebbe avvenuto per le comunità ebraiche, soprattutto quella di Palermo, ampliate per l’arrivo di Ebrei, schiavi riscattati perlopiù artigiani e commercianti, che condussero un lucroso commercio tra la Sicilia, il Maghreb e l’Egitto e che avrebbero raggiunto un alto livello di ricchezza e prosperità anche culturale, come indicano molte fonti della successiva età normanna e sveva. Alla luce della sconfortante lacuna delle fonti documentarie, efficacemente condensata da Michele Amari, dove sostiene che sulla presenza islamica in Sicilia si è «obbligati ad aiutarsi con le ipotesi: a usare spesso quella forma dubitativa che è così spiacevole nella storia»70, possiamo realmente affermare che i documenti superstiti d’età araba, come sottolinea Federico Cresti, «permettono di conoscere solamente in modo approssimativo molti degli avvenimenti di questo periodo»71. Tanto che, nel tentativo di ricostruire gli aspetti insediativi e ipotizzare spostamenti della popolazione siciliana nei due secoli della dominazione araba e nel passaggio tra l’epoca degli emiri e la dominazione normanna, si mostrano di fondamentale utilità descrizioni e riferimenti di molti viaggiatori, geografi e scrittori musulmani sincroni. Costoro visitarono o vissero in Sicilia e hanno descritto città, coste e campagne, riportando aspetti naturali, rurali e insediativi del territorio e testimoniando una trasformazione paesaggistica intensa e diffusa nel corso di quei secoli. Un momento di cruciale transizione, il periodo di dominazione araba (827-1091), che avrebbe avuto, come sostiene Emma Salizzoni: «[…] un profondo impatto anche sui secoli successivi di dominazione normanna e sveva [con la] “nascita” del concetto di paesaggio e della sua rappresentazione»72. Raffigurazioni più efficaci, senza dubbio, dei pur interessanti e suggestivi spunti offerti dalla copiosa produzione poetica, dalla quale emerge spesso una visione idilliaca e idealizzata, animata dal rimpianto di una terra ormai perduta, ma sostanzialmente priva di descrizioni di terre e città. In questo senso sono da interpretare i versi struggenti di Ibn Hamdis, massimo esponente della poesia araba di Sicilia a cavallo tra l’XI e il XII secolo, le cui composizioni descrivono particolari della vita quotidiana e panegirici rivolti alla corte, sebbene molte qaside siano dedicate alla Sicilia perduta della sua giovinezza73. Quasi esclusivamente nel suo Canzoniere, infatti, si ritrovano riferimenti espliciti alla Sicilia, e l’assenza in altre poesie arabe di richiami alla terra siciliana può essere attribuita alla scelta degli antologisti di eliminare ciò che potesse minare l’orgoglio arabo e gratificare indirettamente i nemici. Anche questi testi sono stati tramandati grazie a Michele Amari (1806- 1889), autore tra il 1854 e il 1872 di una monumentale Storia dei Musulmani di Sicilia74, che fu accompagnata nel 1857 dalla poderosa Biblioteca arabo-sicula, edita nella versione italiana nel 1880, che contiene oltre un centinaio di testimonianze arabe di carattere geografico, storico e biografico relative alla Sicilia, comprese cronologicamente tra il X secolo e il Trecento75. Da quest’opera prese il via, nel 1865, l’edizione di poesie degli Arabi di Spagna e di Sicilia per opera di Adolf von Schack e, nel 1897, Celestino Schiaparelli avrebbe pubblicato il Canzoniere di Ibn Hamdis, ripreso nel 1948 da Francesco Gabrieli76. Ma tornando ai testi dei geografi utili per la nostra indagine, è anzitutto da segnalare il Libro delle strade e dei Reami, un’opera cartografica della prima metà del X secolo del geografo persiano al-Istakhri, che descrive le condizioni socio-economiche, culturali e politiche nei paesi islamici dell’epoca, dall’India all’Africa, e contiene 21 mappe77. A quest’opera si sarebbe ispirato il geografo e mercante Ibn Hawqal, che nel 973 aveva visitato la Sicilia e nel 976 raccolse le sue impressioni di viaggio in un testo omonimo, anch’esso edito a Leiden nel 1873 per la Bibliotheca Geographorum Arabicorum. Componimenti di maggior rilievo, comunque, sono certamente le più tarde e note opere di Idrisi (Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo o Nuzhat, 1154)78 e il diario del viaggiatore e poeta andaluso Ibn Gubayr (Viaggio, 1183)79, compilate rispettivamente sotto il fiorente regno di Ruggero II e al tramonto della dinastia degli Altavilla. Tutti questi viaggiatori offrono descrizioni di un’isola dal suolo particolarmente ferace e produttivo, dove accanto ad ampie distese destinate a cereali abbondano colture intensive di vario genere, citate da Ibn Hawqal, che definisce l’isola «coltivata per ogni luogo»80, e da Idrisi, che indica gli oltre cento insediamenti da lui descritti come «vaste distese di terre grasse e feraci»81, costellate di centri ricchi d’acque e mulini. La presenza di vigneti e alberi pregiati anche nelle aree interne, opportunamente terrazzate e dotate di nuove tecniche d’irrigazione d’origine persiana, è riferita da Ibn Gubayr, che descrive la costa tirrenica come «una sequenza di colti e villaggi, di castella e fortalizi, piantati su le vette de’ monti»82 e indica i Peloritani come «tanti giardini abbondanti di mele, castagne, nocciole, susine e altre frutte»83. E aggiunge: «supera qualsivoglia descrizione la fertilità di quest’isola […]. Copiosa è la Sicilia d’ogni produzione del suolo»84. Tra queste, cotone, canapa, lino, ortaggi (zucche, cetrioli, melanzane, cocomeri e meloni), legumi, papiro, canna da zucchero, agrumi (arance amare, limoni e cedri), datteri, zafferano, pistacchio e i gelsi, per la produzione della seta, e probabilmente anche henne, noci, mandorli e carrubi85. Tutto questo fu possibile, certamente, grazie allo smembramento della grande proprietà terriera, alla più razionale organizzazione del territorio agricolo e all’introduzione di nuove tecniche irrigue, nel contesto di una sorta di “rivoluzione agricola”, ma soprattutto, come si è detto, fu determinato da un diverso statuto della terra che previde la sua distribuzione ai componenti delle armate che partecipavano alle azioni belliche, agevolati anche da un favorevole regime di tassazione fondiaria. Da ciò derivò un’ulteriore spinta alla “colonizzazione” delle campagne incolte e alla costruzione, soprattutto nelle aree interne, di casali, oltre a un diffuso processo di “incastellamento”86, tanto che Ibn Hawqal descrive l’isola come «irta di rocche e di castella»87 e Ibn Gubayr, riporta il susseguirsi di «castella e fortalizii» tra Messina e Cefalù88. In definitiva, le lunghe e guerreggiate fasi che scandirono la complessiva conquista islamica dell’isola, di cui si è tracciata una sintesi, consentono di ipotizzare numerosi episodi di spostamenti della popolazione e un generale spopolamento di vaste aree, anche se «non è possibile precisare con esattezza la redistribuzione di queste stesse popolazioni all’interno del territorio siciliano né l’eventuale impoverimento demografico»89. Se, infatti, per il passaggio dall’epoca bizantina a quella musulmana la questione rimane aperta, l’idea di una continuità dell’habitat tra il periodo arabo e quello normanno sembra abbastanza radicata tra gli studiosi e l’assenza di un quadro sociale e storico ben definito dalle fonti non lascia emergere chiare trasformazioni riferibili espressamente alla conquista musulmana.

Potere politico, movimenti demici e mutazioni antropiche nel la Sicilia degli Emiri (827-1091)

Luciano Catalioto
2024-01-01

Abstract

Allo scorcio del periodo romano imperiale, dopo la guerra servile negli anni dell’imperatore Gallieno (253-268)1 e un precedente ridimensionamento progressivo dell’attività cerealicola in favore della pastorizia2 e di altre colture a maggior valore, come la vite e l’ulivo, la Sicilia fu una provincia relativamente pacificata ed economicamente prospera, poiché dal 332, quando l’annona egiziana era stata dirottata verso Costantinopoli, tornò a essere protagonista dell’approvvigionamento di grano a Roma e nel corso del IV secolo si rinsaldarono i rapporti commerciali con il Nord Africa3. Tuttavia, nel V secolo soffrì incursioni di saccheggio a opera dei Vandali che si muovevano dalle quelle coste. Nel 535, l’Isola fu riconquistata dall’Impero bizantino e saccheggiata poi dagli Ostrogoti nel corso della guerra greco-gotica, ma, al termine della conquista giustinianea, tornò a essere un territorio relativamente tranquillo4. Protetta dal mare, alla Sicilia furono risparmiati i saccheggi inflitti all’Italia bizantina dagli invasori longobardi verso la fine del VI secolo e gli inizi del VII, sicché mantenne una vita urbana alquanto vivace e un’amministrazione civile senza dubbio attiva, mentre le campagne non subirono trasformazioni di particolare rilievo5. Fu solo in seguito all’ascesa della minaccia musulmana che le cose sarebbero cambiate. Come osservava, già all’inizio del secolo scorso, lo storico inglese John Bagnell Bury: «[…] terra florida e possesso desiderabile di per sé, la posizione centrale della Sicilia tra i due bacini del Mediterraneo la rendeva un obiettivo di importanza suprema per ogni potenza marittima orientale che fosse commercialmente o politicamente aggressiva; mentre per un sovrano ambizioso in Africa era la porta di accesso all’Italia e alle porte dell’Adriatico»6. Di conseguenza, il disegno di conquista dell’isola e di zone dell’Italia meridionale fu un obiettivo dei Musulmani a partire dalla fondazione della loro forza marinara e le prime incursioni furono condotte sin dal 652 da Muʿāwiya Ḥudayj, della tribù dei Kinda, protraendosi per alcuni anni e producendo razzia di uomini e beni, malgrado l’esarca di Ravenna Olimpio opponesse una strenua resistenza7. Nel corso della lunga e articolata epoca della presenza musulmana nell’Isola, in cui si susseguirono emiri di diverse dinastie, fu mantenuto uno stato di guerra praticamente costante, sia per la conquista dei resistenti territori bizantini sia per l’assestamento interno del potere militare e l’esercizio del dominio economico. Le trasformazioni demiche del territorio siciliano e le conseguenti migrazioni interne, che a loro volta comportarono abbandoni di centri urbani e terre, nuovi insediamenti più o meno duraturi, contrazione degli abitanti e ripopolamenti, furono fasi che senza dubbio si susseguirono caoticamente e che è difficile decifrare con precisione. Per questa ragione, fondamentalmente, è opportuno seguire sin dalle prime mosse della penetrazione araba la successione degli eventi bellici, che sono complessi, articolati, non sempre di univoca lettura, spesso contradditori e ancora oggetto di dibattito, ma che consentono di prospettare un quadro complessivo della mobilità umana sul suolo siciliano e parte del Mezzogiorno peninsulare tra VIII e XI secolo. Primi tentativi d’invasione. In seguito alla conquista omayyade nel Nord dell’Africa, la Sicilia divenne una cruciale base strategica bizantina e per un breve periodo, tra il 661 e il 668, fu la residenza della corte imperiale sotto Costante II8, costituendosi poi come Thema intorno al 6909. Dopo le prime incursioni, condotte nei decenni precedenti dalla tribù dei Kinda e altri gruppi islamici, una seconda spedizione araba, composta da 200 navi salpate da Alessandria d’Egitto, ebbe luogo nel 669, quando fu saccheggiata Siracusa e il suo territorio, mentre intorno al 700 fu occupata Pantelleria da ʿAbd al-Malik Qaḥṭān10. In seguito alla conquista omayyade del Nord Africa, nel VII secolo, gli attacchi alla Sicilia a scopo di saccheggio si fecero ripetuti e continui, verificandosi nel 703, 728, 729, 730, 731 e protraendosi nella prima metà dell’VIII secolo, ma l’Isola non sarebbe stata mai seriamente minacciata fino a quando gli Ommiadi non avrebbero completato la conquista del Nord Africa e della Spagna11. La prima vera spedizione per la conquista della Sicilia fu programmata nel 740, quando il principe musulmano Habib, che aveva partecipato all’occupazione di Siracusa nel 728, iniziò l’impresa, sebbene fosse costretto a rinunciarvi a causa di una rivolta berbera in Tunisia. Una nuova ribellione dei Berberi, nel 752, avrebbe a sua volta impedito al governatore di Ifrīqiya, ʿAbd al-Raḥmān al-Fihrī, di invadere l’isola con una forza a quanto pare imponente12. Nel 799, Ibrāhīm al-Aghlab, riconosciuto emiro di Ifrīqiya da parte del califfo abbaside Hārūn al-Rashīd, fu il fondatore della dinastia degli Aghlabidi e creò uno Stato indipendente in Tunisia13. Nell’805 l’emiro, impegnato a fronteggiare gli Idrisidi14, concluse una tregua decennale con il governatore bizantino di Sicilia, Costantino, che fu rinnovata dal suo successore Abu’l-Abbas nell’813. Questa fu, senza dubbio, una parentesi di pace e prosperità per la popolazione della Sicilia, alla luce del fatto che sono attestati intensi traffici commerciali con il Nord Africa ed è registrata la presenza di mercanti e viaggiatori arabi sull’Isola15. La tregua, tuttavia, non impedì che corsari provenienti dall’Africa e dalla Spagna musulmana attaccassero ripetutamente, tra l’806 e l’821, la Sardegna e la Corsica e, nell’812, il figlio di Ibrāhīm, ʿAbd Allāh I Ibrāhīm, ordinò un’invasione della Sicilia. Le sue navi, però, furono prima ostacolate dall’intervento di Gaeta e Amalfi e poi distrutte in gran parte da una tempesta, riuscendo tuttavia a conquistare l’isola di Lampedusa16 e depredare e devastare Ponza e Ischia. Un successivo accordo tra il nuovo patrizio Gregorio e l’Emiro stabilì la libertà di commercio tra l’Italia meridionale e l’Ifrīqiya. Dopo un nuovo attacco nell’819 di Muḥammad ʿAbd Allāh, cugino dell’emiro Ziyādat Allāh, sulle fonti non sono citate aggressioni musulmane contro la Sicilia fino all’827. Il pretesto per l’invasione della Sicilia fu fornito nell’827 dalla rivolta del tumarca Eufemio, comandante della flotta bizantina dell’Isola17. Secondo resoconti tardi e forse fittizi, innamoratosi di una suora, l’aveva costretta a sposarlo, suscitando le proteste dei fratelli della religiosa che giunsero fino all’Imperatore Michele II. Questi ordinò allo strategos dell’Isola, Fotino, di indagare sulla questione e, nel caso le accuse fossero verificate, procedere alla punizione di Eufemio mutilandolo del naso18. Quando Eufemio, di ritorno da un’incursione navale contro la costa africana, apprese che stava per essere arrestato, salpò per Siracusa, che occupò, mentre Fotino cercò riparo a Catania. Eufemio ben presto riuscì ad ottenere il supporto di una larga parte dei comandanti militari della Sicilia e non solo respinse un tentativo da parte di Fotino di recuperare Siracusa, ma lo inseguì, lo scacciò da Catania e alla fine lo catturò e lo giustiziò, facendosi proclamare imperatore19. Alexander Vasiliev mette in dubbio la veridicità della storia “romantica” sulle origini della rivolta di Eufemio, e ritiene che l’ambizioso generale, semplicemente, sfruttasse il momento opportuno per rivoltarsi: all’epoca, infatti, il governo centrale bizantino risultava indebolito a causa della recente rivolta di Tommaso lo Slavo e della conquista islamica di Creta20. A questo punto, tuttavia, Eufemio subì la defezione di uno dei suoi alleati a lui più vicini e più potenti, un uomo noto dalle fonti arabe come «Balaṭa»21, e di suo cugino Michele, comandante di Palermo. I due uomini denunciarono l’usurpazione da parte di Eufemio del titolo imperiale e marciarono contro Siracusa, sconfissero Eufemio e s’impadronirono della città22. Come Elpidio, uno dei suoi predecessori che si era rivoltato contro l’Imperatrice Irene23, anche Eufemio risolse di cercare riparo presso i nemici dell’Impero e con pochi seguaci salpò per il Nord Africa. Da qui inviò una delegazione alla corte aghlabide di Qayrawān, richiedendo all’emiro Ziyādat Allāh un esercito perché sostenesse la sua conquista della Sicilia: in cambio, una volta conquistata l’Isola, Eufemio avrebbe pagato agli Aghlabidi un tributo anno24. Quest’offerta era una grande opportunità per Qayrawān, che doveva fronteggiare crescenti tensioni tra musulmani, dissensi e rivolte all’interno dell’élite governante araba (il jund) e critiche dei “dotti” musulmani causate dal suo stile di vita lussurioso. Come scrive Alex Metcalfe, «[…] intraprendendo un jihād per espandere le frontiere dell’Islam a spese degli infedeli con la conquista [la prima impresa maggiore dall’invasione della Penisola iberica del 711] avrebbero potuto zittire le critiche dei giuristi. Allo stesso tempo, avrebbero potuto reindirizzare le energie dell’irrequieto jund ifriqiyano lungo il canale di Sicilia per assicurarsi nuove fonti di soldati e di ricchezze»25. I consiglieri di Ziyādat Allāh erano divisi sulla questione, ma alla fine le esortazioni del rispettato Qāḍī malikita di Qayrawān, l’anziano Asad ibn al-Furat, colto giurisperito autore della notissima Asadiyya di origine persiana del Khorāsān, convinsero l’Emiro, e il settantenne Asad fu posto alla testa della spedizione26. 827: lo sbarco di Asad ibn al-Furat. Malgrado la Sicilia avesse subito incursioni da parte dei Musulmani fin dalla metà del VII secolo, esse erano finalizzate al saccheggio e non minacciarono mai il controllo bizantino. La conquista islamica della Sicilia ebbe inizio nell’827, con lo sbarco presso Mazara, e si sarebbe conclusa nel 902 con la conquista di Taormina, anche se l’ultima città bizantina del thema di Sikelia a cadere sarebbe stata Rometta nel 965. Pare che l’esercito musulmano consistesse di diecimila fanti e settecento cavalieri, per lo più Musulmani dell’Ifrīqiya, ma forse anche di alcuni Persiani originari del Khorāsān, come la stessa famiglia d’origine di Asad, tutti trasportati con una flotta composta da settanta o cento navi, alle quali vanno aggiunti i vascelli di Eufemio: come dice Amari, «Sommò lo esercito a settecento cavalli e diecimila fanti; il navilio a settanta o secondo altri cento barche»27. Salpati dalla baia tunisina di Susa il 14 giugno 827, l’armata composta da arabi, berberi e persiani giunse sull’Isola tra il 16 e il 17 giugno e lo sbarco avvenne a Capo Granitola, presso Campobello di Mazara. Fu subito occupata la vicina Mazara del Vallo (che diventerà emirato), e quindi Lilibeum (poi chiamata Marsala, in arabo Marsa ʿAlī, “il porto di Alì” o Marsa Allāh, il “porto di Dio”) ed entrambi i centri furono fortificati e usati come testa di ponte e base di attracco per le navi. Gli islamici si unirono con i soldati fedeli a Eufemio, sebbene pare finissero per scontrarsi con costoro e lo stesso Asad decidesse di condurre la campagna senza la partecipazione del turmarca. Probabilmente, fu in seguito a questi eventi che Eufemio cominciò a pentirsi della sua alleanza con gli Aghlabidi e aprì segretamente contatti con i Bizantini, esortandoli a resistere agli Arabi28. Il governo bizantino inviò alcune spedizioni per respingere gli invasori, ma impegnato nel conflitto contro gli Abbasidi sulla frontiera orientale e nel Mar Egeo contro i Saraceni di Creta, fu incapace di trovare forze sufficienti per scacciare i Musulmani, i quali per i successivi tre decenni saccheggiarono i possedimenti dell’isola trovando un’opposizione quasi nulla. La fortezza di Enna, al centro dell’isola, fu il principale baluardo bizantino contro l’invasione musulmana, fino alla sua caduta nell’859. Gli islamici aumentarono poi la loro pressione sulla parte orientale dell’isola e, dopo un lungo assedio, espugnarono Siracusa nell’878. I Bizantini mantennero il controllo di alcune fortezze nel quadrante nordorientale ancora per qualche decennio, e i loro tentativi di riconquista continuarono fino all’XI secolo, anche se furono incapaci di sfidare seriamente il controllo arabo. Complessivamente, il periodo di dominazione musulmana della Sicilia, che durò sino allo sbarco dei Normanni presso Messina nel 1061, l’occupazione di Palermo nel 1072 e infine la caduta di Noto nel 1091, può essere suddiviso in tre parti: la prima, tra l’827 e il 910, quando la Sicilia aveva un governatore nominato dall’emiro aghlabide di Qayrawan, ma alcune città erano ancora bizantine (Siracusa cadde nell’878, Taormina nel 902 e Rometta nel 965); la seconda parte, fra il 910 e il 948, durante la quale i governanti erano fatimidi; la terza, dal 948 al 1072, distinta nell’epoca dei Kalbiti, una dinastia sciita-ismailita voluta dall’Imam fatimide, che finì per governare l’Isola da vero e proprio emirato siciliano ma dipendente dai Fatimidi29. Questa fase finale della dinastia kalbita avrebbe segnato la nascita di una sorta di poliarchia con l’affermazione di emiri indipendenti. Ma cerchiamo di analizzare sinteticamente i tre periodi durante i quali si svolsero le vicende dell’Isola nei circa tre secoli della dominazione araba, al fine di scorgere elementi utili a individuare movimenti demici e trasformazioni antropologiche del territorio siciliano. Flussi umani significativi si verificarono senza dubbio all’inizio dell’invasione islamica, quando Asad si spostò con le sue truppe da Mazara per raggiungere Siracusa, attraverso le coste meridionali dell’Isola. In questa fase delle operazioni, mentre Asad si fermò per alcuni giorni presso la città di Qurra (forse l’antica Acrae), sarebbe sopraggiunta una poderosa armata, composta forse da quarantamila guerrieri, inviata come rinforzo dall’emiro di Barberia. Come riporta Tommaso Fazello: «Secondo la leggenda, l’emiro di Barberia, inviò in Sicilia 40.000 guerrieri, fra i quali un capo di nome Halcamo. Costui, sbarcato a Mazara, diede alle fiamme le proprie navi, per significare che, ormai, non era più questione di tornare indietro e che la Sicilia, in un modo o nell’altro, doveva essere occupata. Poi s’impadronì di Selinunte e, per domare subito l’Isola con un esempio ammonitore, prese vari cittadini e li fece cuocere vivi in caldaie di rame. In seguito a tale episodio, le altre città, terrorizzate, si arresero. Volendo, però, il capo saraceno prepararsi a qualsiasi eventualità, edificò un castello, che da lui prese il nome, e vi stabilì la propria dimora. I Siciliani, riavutisi dal primo sgomento, assediarono il castello, ma Halcamo resisté, fino a che dall’Africa non giunse un nuovo contingente di saraceni, che sottomisero definitivamente gli insorti»30. I Musulmani ripresero intanto la propria avanzata e assediarono Siracusa, che Bisanzio non fu in grado di soccorrere perché costretta a fronteggiare un’invasione islamica a Creta, mentre sull’Isola continuarono a riversarsi schiere di rinforzo dal Nord Africa. Questi flussi sarebbero continuati per l’intero periodo in cui la Sicilia fu governata in nome degli emiri aghlabidi, sino al 91031, quando soprattutto il Val di Noto e quello di Mazara furono interessati da un cospicuo mescolamento demico tra i nuovi arrivati e le aree urbane occupate dai Bizantini, con l’eccezione delle terre montuose nord-orientali dell’Isola32, difficilmente accessibili e costellate da insediamenti monastici greci che sarebbero sopravvissuti all’età degli emiri. Qui, vi è poca evidenza di campagne militari su larga scala o di battaglie in campo aperto, come avveniva intanto nelle pianure presso Mazara e in occasione dei numerosi assedi nei territori centro meridionali (intorno a Enna, Mineo, Girgenti, Modica, Ragusa, Noto, Scicli)33 e di Palermo nell’831; infatti, la graduale conquista dell’isola consistette soprattutto in ripetuti attacchi arabi alle cittadelle bizantine, accompagnati da incursioni (sa’ifa) nelle campagne e nei sobborghi, con lo scopo di saccheggio e di ottenimento di tributi e prigionieri dalle località minacciate. Nel frattempo, all’arrivo di truppe islamiche, che nell’830 furono rimpolpate da guerrieri provenienti anche da al-Andalus e mercenari berberi guidati da Farghalūs, si contrapponevano tentatavi di recupero da parte dei Bizantini, che in varie occasioni inviarono a loro volta flotte di milites dall’Oriente e dalla Penisola34. La progressiva conquista dell’Isola, nel corso del IX secolo, fu costellata di battaglie e assedi a danno dei principali centri, culminati intorno all’845 con la battaglia di Butera, che costò la vita ad almeno novemila bizantini e fu decisiva per il controllo della Sicilia. Analogo massacro della popolazione greca sarebbe avvenuto dopo la caduta di Siracusa nell’878, nel corso della quale circa cinquemila abitanti furono uccisi o deportati. Altri massacri sicuramente si verificarono nella fasi successive della conquista islamica, quando furono prese Catania, Taormina (902) e Rometta, ultima roccaforte della resistenza bizantina, caduta nel 965 a opera dei Fatimidi, che già da alcuni anni avevano sostituito gli Aghlabidi. In questo lasso di tempo, assume rilievo la spedizione intrapresa dall’ex emiro Ibrahim II, che nel 902 tentò di risalire la Penisola, con la velleitaria idea di giungere addirittura fino a Costantinopoli, ma la sua marcia si arrestò nei dintorni di Cosenza. Dal 910 al 948 l’isola fu governata dai Fatimidi, che avevano messo fine all’emirato aghlabide in Ifrīqiya nei primi anni del X secolo e, nel 915, a seguito di un accordo di tregua con l’imperatrice di Bisanzio Zoe, che concedeva la somma di 22000 monete d’oro, i berberi agrigentini, che avrebbero voluto proseguire le scorrerie nell’Italia meridionale, si ribellarono; la rivolta infiammò l’intera Isola, ma fu sedata dall’arrivo di truppe musulmane dall’Africa, che dopo aver sottomesso Palermo, avviarono un ventennio di pace e prosperità35. Nel 937 però, una nuova rivolta di Agrigento scosse le popolazioni del Val di Mazara, con l’arrivo di un grosso esercito fatimida e un nuovo assedio di Palermo, che peraltro avrebbe determinato la costruzione della cittadella fortificata della Kalsa. Gli scontri tra Fatimidi e Berberi continuarono a scuotere l’intero Val di Mazara sino al 940, quando giunse un esercito bizantino a porre fine ai tumulti36. Anche le terre orientali della Sicilia e le sue popolazioni, sino alla metà del secolo, continuarono a essere sconvolte da conflitti tra le forze islamiche e quelle bizantine: Taormina si liberò dal controllo musulmano dopo la conquista del 90237, e fu solo nel 962, probabilmente in risposta alla recente riconquista bizantina di Creta, che i Fatimidi riconquistarono la città, in seguito a un lungo ed estenuante assedio durato trenta settimane38. Allo stesso tempo proseguirono la conquista verso l’area dello Stretto, difesa da una spedizione inviata a Messina dal basileus Niceforo Foca, che dopo la caduta di Rometta e la sconfitta navale si ritirò in Calabria e, nel 967, fu siglata una tregua39. Nel 948, quando l’emirato fatimida fu spostato in Egitto, la conduzione dell’isola fu affidata, con la più ampia autonomia, ai suoi fedeli emissari kalbiti, che sotto Hasan e Ahmad crearono un emirato indipendente, fedele al governo del Cairo solo per ciò che riguardava l’aspetto religioso. Il dominio della dinastia kalbita, durato oltre cento anni, corrisponde anche all’epoca d’oro della Sicilia islamica, un periodo prospero, ricco di arte e cultura40, durante il quale la Sikelia fu suddivisa amministrativamente in tre valli (aqālīm): Val di Mazara, Valdemone e Val di Noto. Si avviò un’epoca di stabilità e prosperità per la popolazione isolana, che sarebbe culminata sotto gli Emiri Ysuf e Giafar II tra il 989 e il 1019, quando l’Emirato di Sicilia raggiunse altissimi livelli di progresso e raffinatezza e l’apice della sua potenza politica e militare come anche nel campo economico e scientifico letterario. Tuttavia, in epoca kalbita continuarono a verificarsi rivolte interne, come a Palermo nel 948, e scontri con i territori che ancora resistevano sotto i Bizantini, come quello del 951 con l’imperatore Costantino VII Porfirogenito e ancora le numerose campagne militari condotte tra il 951 e il 957 contro le città bizantine oltre lo Stretto, che rifiutavano di pagare la gizyah41. L’arrivo di nuovi contingenti musulmani dalla capitale africana dei Fatimidi avrebbe consentito la ripresa della conquista, culminata con la definitiva presa di Taormina nel 962 e la caduta di Rometta nel 96542, mentre nuovi scontri etnici tra berberi e arabi avrebbero animato le vicende del territorio palermitano sino allo scorcio del X secolo43. Anche se alcune fortezze nel nord-est non erano ancora state conquistate ed erano rimaste in mani cristiane44, la caduta di Taormina segnò la fine effettiva della Sicilia bizantina e il consolidamento del controllo musulmano sull’Isola45. Tuttavia, non sancì la fine delle guerre tra Arabi e Bizantini per il possesso dell’isola né la scomparsa della cultura greca. Come scriveva ai primi del Novecento lo storico e archeologo tedesco Adolf Holm: «I Greci erano sbarcati in Sicilia nel 735 a.C.; nel 902 perderono quasi ultimo questo luogo medesimo. La lingua greca era stata parlata in Sicilia per 1637 anni da liberi cittadini. L’ellenismo aveva impiegato molto tempo prima di prendere il sopravvento sulle altre nazionalità dell’isola, e per lungo tempo anche era durata la lotta per la distruzione di esso. Ma quanto più fu tardo, tanto più radicale ne fu l’annientamento»46. Dopo la tregua del 967, il teatro dei conflitti si spostò al di là dello Stretto, coinvolgendo anche l’intervento dell’imperatore germanico Ottone II, nel 982, che fu sconfitto dai Kalbiti nella battaglia di Stilo47. Nel frattempo, i Bizantini, che alla guida del catapano Basilio Boioannes si erano consolidati nella Penisola, dal 1020 avrebbero ripreso le operazioni militari sull’Isola e nel 1025 un esercito consistente sbarcò a Messina48. Un ultimo tentativo di riprendere possesso della Sicilia fu effettuato nel 1038 dal generale Giorgio Maniace, mentre l’isola era attraversata dai conflitti tra Kalbiti e Ziridi49. La costa nord-orientale dell’Isola fu coinvolta in una nuova fase di lotte e devastazioni, tra cui una battaglia presso Randazzo e l’assedio di Siracusa nel 1040, che culminarono nel 1042 con la riconquista araba di Messina, ultimo avamposto bizantino in Sicilia50. La dinastia sciita-ismailita dei Kalbiti, all’inizio dell’XI secolo, aveva finito per governare l’Isola da vero e proprio emirato siciliano, seppur dipendente dai Fatimidi51, fino al 1052, quando l’ultimo emiro Ḥasan II al-Ṣāmṣām fu deposto dai palermitani, che proclamarono una sorta di “Repubblica islamica”, durata vent’anni, sotto il dominio di un ristretto e potente gruppo di aristocratici. Dopo il 1050, tuttavia, vi furono vari Emirati indipendenti52, cioè quelli di Palermo53; Mazara del Vallo e Trapani54; Messina55; Siracusa e Noto56; Enna57, sostituita poi con Agrigento58 e, ancora dopo, entrambe le città59; infine, Catania60. Negli anni che seguirono, gli Arabi di Sicilia, ormai dilaniati da conflitti interni e retti da tre emirati di fatto indipendenti61, avrebbero resistito sino allo sbarco dei Normanni presso Messina nel 1061 e alla perdita dei loro ultimi baluardi sull’Isola: Siracusa, difesa da Benavert fino al 1086, e Noto, caduta nel 109162. Una visione d’insieme. La lunga contesa tra Arabi e Bizantini per il possesso della Sicilia avrebbe lasciato tracce notevoli nella storia successiva dell’isola: anche se sotto la dominazione musulmana la cultura siciliana subì un notevole influsso della cultura araba, le comunità cristiane nelle parti centrale e orientale resistettero in larga parte all’islamizzazione. Il livello dell’influsso arabo, come attestato anche dai toponimi sopravvissuti, variava anche da zona a zona dell’isola, a seconda del grado di resistenza o delle dimensioni dell’insediamento arabo: vi sono molti nomi di derivazione araba nella parte occidentale (Val di Mazara), una situazione intermedia nella parte sudorientale (Val di Noto), mentre le identità cristiane sopravvissero più tenacemente nella parte nordorientale (Valdemone). Questa fu l’ultima a cadere, e qui si erano rifugiati i cristiani in fuga da altre parti della Sicilia, attraversate da continui conflitti e devastazioni, e che inoltre erano rimaste in contatto con l’Italia meridionale bizantina e, culturalmente, con la stessa Costantinopoli63. E non è certamente un caso che, dopo lo sbarco a Messina nel 1061, i Normanni avrebbero conquistato il Valdemone in appena due anni, mentre l’assoggettamento totale dell’isola li avrebbe impegnati ancora per un trentennio. Negli anni dell’emirato, il panorama antropologico dell’Isola subì evidentemente consistenti modifiche per via di flussi demici, provenienti sia dalle coste del Nord Africa, composti da agricoltori, mercanti, artigiani e amministratori musulmani, sia da ricollocamenti interni della popolazione che progressivamente si convertiva all’Islam ed era inquadrata all’interno del meccanismo economico e produttivo, nelle campagne e nei centri urbani maggiormente islamizzati della parte occidentale dell’Isola. Il territorio di Palermo (Balarm), residenza dell’emiro, fu interessato più degli altri tanto da un notevole sviluppo demografico e urbanistico64, raggiungendo attorno al 1050 i 350.000 abitanti alla stregua di Cordova e Costantinopoli65, quanto da una prospera attività artigianale e agricola nella fertile “Conca d’Oro”. La geografia dell’Isola complessivamente si trasformò, e di conseguenza la distribuzione umana, per via della riduzione della monocoltura granaria e della frammentazione del latifondo, che risaliva al tardo impero, da cui derivò progressivamente un paesaggio costellato da una varietà di colture intensive, accanto a cereali, viti e ulivi, che era una coltivazione asciutta e non richiedeva irrigazione. Nuove piante furono introdotte per la prima volta e diffuse nelle pianure dell’Isola, quali l’arancio, il limone, il gelso, le palme da dattero, la canna da zucchero (cannameli), il papiro e gli ortaggi, la cui coltivazione comportò importanti opere di dissodamento e interventi irrigui66. C’è da dire, inoltre, che la fine del latifondo e l’avvio di una diversa distribuzione e sfruttamento delle terre e della popolazione, fu determinata anche dalla norma islamica che assegnava ai combattenti i quattro quinti delle terre conquistate, riservando il rimanente quinto allo Stato67; altre attività che certamente modificarono la distribuzione umana e quella degli abitati furono quelle minerarie, in relazione al rigoglio delle attività produttive, belliche e artigianali, e alla ripresa della monetazione68. Si calcola che, nella Sicilia occidentale, si convertisse metà della popolazione, attratta dalla prospettiva di svincolarsi dall’imposizione della dhimma, più gravosa rispetto al pagamento della zakāt richiesto ai sudditi musulmani. Solo il Valdemone rimase pressoché interamente cristiano e, per certi versi, isolato e quasi ibernato attorno a comunità monastiche di rito greco e poche residue fondazioni episcopali cattoliche, giacché lo statuto giuridico della dhimma, che dichiarò soppressi i vescovadi, proibiva ai cristiani di fare proselitismo e di edificare nuovi luoghi di culto, sebbene consentisse la pratica privata e nelle chiese già esistenti69. Allo stesso tempo, parte della popolazione non araba dell’Isola fu ridotta in schiavitù e deportata a Qayrawan, capitale fatimida dell’Africa nord-occidentale, mentre uno spostamento inverso sarebbe avvenuto per le comunità ebraiche, soprattutto quella di Palermo, ampliate per l’arrivo di Ebrei, schiavi riscattati perlopiù artigiani e commercianti, che condussero un lucroso commercio tra la Sicilia, il Maghreb e l’Egitto e che avrebbero raggiunto un alto livello di ricchezza e prosperità anche culturale, come indicano molte fonti della successiva età normanna e sveva. Alla luce della sconfortante lacuna delle fonti documentarie, efficacemente condensata da Michele Amari, dove sostiene che sulla presenza islamica in Sicilia si è «obbligati ad aiutarsi con le ipotesi: a usare spesso quella forma dubitativa che è così spiacevole nella storia»70, possiamo realmente affermare che i documenti superstiti d’età araba, come sottolinea Federico Cresti, «permettono di conoscere solamente in modo approssimativo molti degli avvenimenti di questo periodo»71. Tanto che, nel tentativo di ricostruire gli aspetti insediativi e ipotizzare spostamenti della popolazione siciliana nei due secoli della dominazione araba e nel passaggio tra l’epoca degli emiri e la dominazione normanna, si mostrano di fondamentale utilità descrizioni e riferimenti di molti viaggiatori, geografi e scrittori musulmani sincroni. Costoro visitarono o vissero in Sicilia e hanno descritto città, coste e campagne, riportando aspetti naturali, rurali e insediativi del territorio e testimoniando una trasformazione paesaggistica intensa e diffusa nel corso di quei secoli. Un momento di cruciale transizione, il periodo di dominazione araba (827-1091), che avrebbe avuto, come sostiene Emma Salizzoni: «[…] un profondo impatto anche sui secoli successivi di dominazione normanna e sveva [con la] “nascita” del concetto di paesaggio e della sua rappresentazione»72. Raffigurazioni più efficaci, senza dubbio, dei pur interessanti e suggestivi spunti offerti dalla copiosa produzione poetica, dalla quale emerge spesso una visione idilliaca e idealizzata, animata dal rimpianto di una terra ormai perduta, ma sostanzialmente priva di descrizioni di terre e città. In questo senso sono da interpretare i versi struggenti di Ibn Hamdis, massimo esponente della poesia araba di Sicilia a cavallo tra l’XI e il XII secolo, le cui composizioni descrivono particolari della vita quotidiana e panegirici rivolti alla corte, sebbene molte qaside siano dedicate alla Sicilia perduta della sua giovinezza73. Quasi esclusivamente nel suo Canzoniere, infatti, si ritrovano riferimenti espliciti alla Sicilia, e l’assenza in altre poesie arabe di richiami alla terra siciliana può essere attribuita alla scelta degli antologisti di eliminare ciò che potesse minare l’orgoglio arabo e gratificare indirettamente i nemici. Anche questi testi sono stati tramandati grazie a Michele Amari (1806- 1889), autore tra il 1854 e il 1872 di una monumentale Storia dei Musulmani di Sicilia74, che fu accompagnata nel 1857 dalla poderosa Biblioteca arabo-sicula, edita nella versione italiana nel 1880, che contiene oltre un centinaio di testimonianze arabe di carattere geografico, storico e biografico relative alla Sicilia, comprese cronologicamente tra il X secolo e il Trecento75. Da quest’opera prese il via, nel 1865, l’edizione di poesie degli Arabi di Spagna e di Sicilia per opera di Adolf von Schack e, nel 1897, Celestino Schiaparelli avrebbe pubblicato il Canzoniere di Ibn Hamdis, ripreso nel 1948 da Francesco Gabrieli76. Ma tornando ai testi dei geografi utili per la nostra indagine, è anzitutto da segnalare il Libro delle strade e dei Reami, un’opera cartografica della prima metà del X secolo del geografo persiano al-Istakhri, che descrive le condizioni socio-economiche, culturali e politiche nei paesi islamici dell’epoca, dall’India all’Africa, e contiene 21 mappe77. A quest’opera si sarebbe ispirato il geografo e mercante Ibn Hawqal, che nel 973 aveva visitato la Sicilia e nel 976 raccolse le sue impressioni di viaggio in un testo omonimo, anch’esso edito a Leiden nel 1873 per la Bibliotheca Geographorum Arabicorum. Componimenti di maggior rilievo, comunque, sono certamente le più tarde e note opere di Idrisi (Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo o Nuzhat, 1154)78 e il diario del viaggiatore e poeta andaluso Ibn Gubayr (Viaggio, 1183)79, compilate rispettivamente sotto il fiorente regno di Ruggero II e al tramonto della dinastia degli Altavilla. Tutti questi viaggiatori offrono descrizioni di un’isola dal suolo particolarmente ferace e produttivo, dove accanto ad ampie distese destinate a cereali abbondano colture intensive di vario genere, citate da Ibn Hawqal, che definisce l’isola «coltivata per ogni luogo»80, e da Idrisi, che indica gli oltre cento insediamenti da lui descritti come «vaste distese di terre grasse e feraci»81, costellate di centri ricchi d’acque e mulini. La presenza di vigneti e alberi pregiati anche nelle aree interne, opportunamente terrazzate e dotate di nuove tecniche d’irrigazione d’origine persiana, è riferita da Ibn Gubayr, che descrive la costa tirrenica come «una sequenza di colti e villaggi, di castella e fortalizi, piantati su le vette de’ monti»82 e indica i Peloritani come «tanti giardini abbondanti di mele, castagne, nocciole, susine e altre frutte»83. E aggiunge: «supera qualsivoglia descrizione la fertilità di quest’isola […]. Copiosa è la Sicilia d’ogni produzione del suolo»84. Tra queste, cotone, canapa, lino, ortaggi (zucche, cetrioli, melanzane, cocomeri e meloni), legumi, papiro, canna da zucchero, agrumi (arance amare, limoni e cedri), datteri, zafferano, pistacchio e i gelsi, per la produzione della seta, e probabilmente anche henne, noci, mandorli e carrubi85. Tutto questo fu possibile, certamente, grazie allo smembramento della grande proprietà terriera, alla più razionale organizzazione del territorio agricolo e all’introduzione di nuove tecniche irrigue, nel contesto di una sorta di “rivoluzione agricola”, ma soprattutto, come si è detto, fu determinato da un diverso statuto della terra che previde la sua distribuzione ai componenti delle armate che partecipavano alle azioni belliche, agevolati anche da un favorevole regime di tassazione fondiaria. Da ciò derivò un’ulteriore spinta alla “colonizzazione” delle campagne incolte e alla costruzione, soprattutto nelle aree interne, di casali, oltre a un diffuso processo di “incastellamento”86, tanto che Ibn Hawqal descrive l’isola come «irta di rocche e di castella»87 e Ibn Gubayr, riporta il susseguirsi di «castella e fortalizii» tra Messina e Cefalù88. In definitiva, le lunghe e guerreggiate fasi che scandirono la complessiva conquista islamica dell’isola, di cui si è tracciata una sintesi, consentono di ipotizzare numerosi episodi di spostamenti della popolazione e un generale spopolamento di vaste aree, anche se «non è possibile precisare con esattezza la redistribuzione di queste stesse popolazioni all’interno del territorio siciliano né l’eventuale impoverimento demografico»89. Se, infatti, per il passaggio dall’epoca bizantina a quella musulmana la questione rimane aperta, l’idea di una continuità dell’habitat tra il periodo arabo e quello normanno sembra abbastanza radicata tra gli studiosi e l’assenza di un quadro sociale e storico ben definito dalle fonti non lascia emergere chiare trasformazioni riferibili espressamente alla conquista musulmana.
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