Agli spiriti più illuminati del tempo l’esplosione delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ha rappresentato un punto di non ritorno, quello in cui l’esplodere della violenza assume, oltre ogni logica perversa di guerra e di annientamento del nemico, un carattere planetario e destinale: “il dato di fatto della bomba atomica è così mostruoso che da essa la politica verrà trapiantata in una sfera diversa” (La bomba atomica e il destino dell’uomo, p. 49). Preoccupato all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale della minaccia nucleare, Karl Jaspers si rende conto che se una politica di “interesse mondiale” e non più solo europeo, non si faccia carico della drammatica “contrapposizione fra totalitarismo o bomba atomica”, interrogandosi fino in fondo su ciò che la motiva e la orienta, rischia di non trovare antidoti per contrapporsi a un possibile crescendo di violenza e di male. Non bastano più, infatti, ireniche affermazioni, ma occorre affrontare con serietà la “situazione- limite della violenza”, intesa come lotta ferina, sopraffazione, negazione delle istanze altrui, le cui subdole seduzioni a volte sono talmente forti da prendere il sopravvento e tradursi in guerre considerate come giuste e imprescindibili. Con lo stesso tono allarmato, in quegli anni, Ghandi si chiede se è ancora “possibile continuare ad avere fede nella verità e nella non-violenza dopo la bomba atomica”. Opporsi alla considerazione che “una bomba possa essere distrutta da un’altra bomba, una violenza da un’altra violenza (Teoria e pratica della non violenza, p. 354), significa affermare la forza della non-violenza come l’unica via percorribile, se si distingue fra una “non-violenza come convinzione” e una non-violenza come scelta tattica”, quando è da condannare la decisione per mera paura o bieco calcolo. Se la non -violenza è frutto di un rifiuto morale della violenza nella convinzione di aver trovato una valida alternativa ad essa, non è mai aprioristico rifiuto nella ragionevole considerazione delle alternative possibili e auspicabili. Contro lo sfondo ideologico dei “pacifismi occidentali”, Jaspers indica come criterio per orientare la politica, regno della forza e del diritto (Max Weber), la dimensione etica della űberpolitische, abitata da idee guida come giustizia, libertà, democrazia. Ed è qui che scopre la valenza del principio della non-violenza di Gandhi, “la cui vita e azione mostra lo spirito di sacrificio come decisivo in rapporto alla violenza” (La bomba, p. 61) e decisivo anche per la vita politica Faced with the dangerous ethical and anthropological drifts of the dark years of the ‘cold war’ after the escalation of violence of two world wars, Karl Jaspers realizes how a policy of ‘worldwide interest’ must take charge of the dramatic ‘contrast between totalitarianism or atomic bomb’. In fact, we need to find antidotes to counteract a possible crescendo of violence and evil. Seriously addressing the ‘limit situation of violence’ means interrupting the fratricidal visions that lurk in those who manage politics but also in those who are governed. Jaspers’ reflections are thus intertwined with Gandhi’s theory of non-will and with Patočka’s thought.
Mahatma Gandhi, Karl Jaspers, Jan Patočka: sul nesso fra politica e non-violenza
G. Costanzo
2024-01-01
Abstract
Agli spiriti più illuminati del tempo l’esplosione delle bombe di Hiroshima e Nagasaki ha rappresentato un punto di non ritorno, quello in cui l’esplodere della violenza assume, oltre ogni logica perversa di guerra e di annientamento del nemico, un carattere planetario e destinale: “il dato di fatto della bomba atomica è così mostruoso che da essa la politica verrà trapiantata in una sfera diversa” (La bomba atomica e il destino dell’uomo, p. 49). Preoccupato all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale della minaccia nucleare, Karl Jaspers si rende conto che se una politica di “interesse mondiale” e non più solo europeo, non si faccia carico della drammatica “contrapposizione fra totalitarismo o bomba atomica”, interrogandosi fino in fondo su ciò che la motiva e la orienta, rischia di non trovare antidoti per contrapporsi a un possibile crescendo di violenza e di male. Non bastano più, infatti, ireniche affermazioni, ma occorre affrontare con serietà la “situazione- limite della violenza”, intesa come lotta ferina, sopraffazione, negazione delle istanze altrui, le cui subdole seduzioni a volte sono talmente forti da prendere il sopravvento e tradursi in guerre considerate come giuste e imprescindibili. Con lo stesso tono allarmato, in quegli anni, Ghandi si chiede se è ancora “possibile continuare ad avere fede nella verità e nella non-violenza dopo la bomba atomica”. Opporsi alla considerazione che “una bomba possa essere distrutta da un’altra bomba, una violenza da un’altra violenza (Teoria e pratica della non violenza, p. 354), significa affermare la forza della non-violenza come l’unica via percorribile, se si distingue fra una “non-violenza come convinzione” e una non-violenza come scelta tattica”, quando è da condannare la decisione per mera paura o bieco calcolo. Se la non -violenza è frutto di un rifiuto morale della violenza nella convinzione di aver trovato una valida alternativa ad essa, non è mai aprioristico rifiuto nella ragionevole considerazione delle alternative possibili e auspicabili. Contro lo sfondo ideologico dei “pacifismi occidentali”, Jaspers indica come criterio per orientare la politica, regno della forza e del diritto (Max Weber), la dimensione etica della űberpolitische, abitata da idee guida come giustizia, libertà, democrazia. Ed è qui che scopre la valenza del principio della non-violenza di Gandhi, “la cui vita e azione mostra lo spirito di sacrificio come decisivo in rapporto alla violenza” (La bomba, p. 61) e decisivo anche per la vita politica Faced with the dangerous ethical and anthropological drifts of the dark years of the ‘cold war’ after the escalation of violence of two world wars, Karl Jaspers realizes how a policy of ‘worldwide interest’ must take charge of the dramatic ‘contrast between totalitarianism or atomic bomb’. In fact, we need to find antidotes to counteract a possible crescendo of violence and evil. Seriously addressing the ‘limit situation of violence’ means interrupting the fratricidal visions that lurk in those who manage politics but also in those who are governed. Jaspers’ reflections are thus intertwined with Gandhi’s theory of non-will and with Patočka’s thought.File | Dimensione | Formato | |
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