Le ultime vicende di cronaca provenienti non solo dai campi destinati alla coltivazione agricola, restituiscono scenari raccapriccianti, che delineano una forte ripresa del lavoro sommerso, unitamente ad una multiforme pluralità di soggezioni fittizie. Le nuove forme di schiavitù da caporalato incentivano pratiche di disumanità per conformarsi alle esigenze dei moderni mercati irregolari del lavoro. In questi contesti fortemente compromessi, il recupero di effettività delle tutele lavoristiche, non può essere più fideisticamente realizzato attraverso l’aggravamento dei sistemi sanzionatori, ma richiede iniziative settoriali distinte tra grandi e piccole imprese, che inducano le prime a migliorare la propria produttività e posizione sul mercato con investimenti produttivi e agevolino le realtà lavorative più fragili ad accedere a meccanismi incentivanti o di sostegno economico, senza comprimere illecitamente i costi diretti e indiretti del lavoro. La progressiva diffusione dello sfruttamento lavorativo in tutti i settori produttivi dell’economia italiana (perfino nell’alta moda) evidenzia, inoltre, l’urgente ne cessità di più efficaci politiche pubbliche che, specie nella fase del controllo ispettivo, appaiano, non più solo programmaticamente, finalizzate a garantire l’attuazione dei diritti costituzionali di chi lavora. La Repubblica italiana relegando nell’invisibilità giuridica i lavoratori vittime di sfruttamento, svilisce il lavoro quale suo fondamento identitario, perpetra un tradimento della Carta costituzionale e pregiudica la legittimazione politica più autentica dell’ordinamento nazionale. Il lavoro inteso quale titolo di dignità della persona impone una severa riconsiderazione dei beni giuridici violati nelle ipotesi di approfittamento dello stato di bisogno, partendo dal bene vita, sempre più spesso sacrificato, oltre i limiti della sopravvivenza dignitosa, fino alla morte.

La lotta per la sopravvivenza nel prisma dei caporalati

ANGELA MARCIANO
2024-01-01

Abstract

Le ultime vicende di cronaca provenienti non solo dai campi destinati alla coltivazione agricola, restituiscono scenari raccapriccianti, che delineano una forte ripresa del lavoro sommerso, unitamente ad una multiforme pluralità di soggezioni fittizie. Le nuove forme di schiavitù da caporalato incentivano pratiche di disumanità per conformarsi alle esigenze dei moderni mercati irregolari del lavoro. In questi contesti fortemente compromessi, il recupero di effettività delle tutele lavoristiche, non può essere più fideisticamente realizzato attraverso l’aggravamento dei sistemi sanzionatori, ma richiede iniziative settoriali distinte tra grandi e piccole imprese, che inducano le prime a migliorare la propria produttività e posizione sul mercato con investimenti produttivi e agevolino le realtà lavorative più fragili ad accedere a meccanismi incentivanti o di sostegno economico, senza comprimere illecitamente i costi diretti e indiretti del lavoro. La progressiva diffusione dello sfruttamento lavorativo in tutti i settori produttivi dell’economia italiana (perfino nell’alta moda) evidenzia, inoltre, l’urgente ne cessità di più efficaci politiche pubbliche che, specie nella fase del controllo ispettivo, appaiano, non più solo programmaticamente, finalizzate a garantire l’attuazione dei diritti costituzionali di chi lavora. La Repubblica italiana relegando nell’invisibilità giuridica i lavoratori vittime di sfruttamento, svilisce il lavoro quale suo fondamento identitario, perpetra un tradimento della Carta costituzionale e pregiudica la legittimazione politica più autentica dell’ordinamento nazionale. Il lavoro inteso quale titolo di dignità della persona impone una severa riconsiderazione dei beni giuridici violati nelle ipotesi di approfittamento dello stato di bisogno, partendo dal bene vita, sempre più spesso sacrificato, oltre i limiti della sopravvivenza dignitosa, fino alla morte.
2024
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