L’imponente fondo archivistico del tribunale senese del Sant’Uffizio, conservato in Vaticano presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e accessibile agli studiosi a partire dal 1998, contiene ancora numerosi fascicoli processuali inediti che consentono di perfezionare la comprensione di diversi aspetti della storia religiosa senese e dell’intera Toscana meridionale in età moderna. Uno dei processi più interessanti, anche per la ricchezza delle informazioni contenute nelle circa 250 carte che lo compongono, è quello subito dalla nobildonna Daria Carli Piccolomini, una delle monache del monastero di Santa Maria degli Angeli di Siena (detto del “Santuccio”), tra il 1599 e il 1602. La suora era accusata di aver maturato convinzioni eterodosse estremamente particolari, unite a una certa dose di scetticismo: ella dichiarava pubblicamente di non avere una «fede viva» riguardo molti aspetti della dottrina cattolica, tra cui l’incarnazione del Verbo e la passione di Cristo; inoltre, temeva a tal punto il meccanismo dell’escatologia cristiana incentrato sull’espiazione dei peccati da odiare Dio per aver creato un sistema così terribile da prevedere persino pene infernali eterne per le anime peccatrici. A Dio rimproverava, inoltre, l’errore di creare uomini e donne pur sapendo – grazie alla sua visione dell’eternità – che alcuni di essi non si sarebbero salvati. Il processo inquisitoriale contro la suora, svolto dall’inquisitore francescano Zaccaria Orcioli da Ravenna prevalentemente mediante interrogatori che avvenivano attraverso le grate del monastero, apre uno squarcio non solo sulle questioni dottrinali poste dall’inquisita, ma anche sugli effetti collaterali della monacazione giovanile, sui rapporti non sempre idilliaci che venivano talvolta a instaurarsi tra le consorelle all’interno dei monasteri, sulla gestione degli “scandali” che talvolta vi si verificavano, nonché sui meccanismi di controllo messi in atto dalle autorità ecclesiastiche. Il processo contro Daria Carli Piccolomini, infatti, venne avviato dall’Inquisizione su segnalazione del vescovo e, col tempo, divenne talmente rilevante da richiedere l’intervento non solo della Congregazione romana del Sant’Uffizio, ma persino del papa stesso, Clemente VIII, il quale ebbe l’ultima parola sulla conclusione della causa.

Scandalo ed eresia al monastero del Santuccio: il processo inquisitoriale contro suor Daria Carli Piccolomini, in «Rivista dell’Accademia dei Rozzi», 54/1 (2021), pp. 30-37.

Vincenzo Tedesco
Primo
2021-01-01

Abstract

L’imponente fondo archivistico del tribunale senese del Sant’Uffizio, conservato in Vaticano presso l’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e accessibile agli studiosi a partire dal 1998, contiene ancora numerosi fascicoli processuali inediti che consentono di perfezionare la comprensione di diversi aspetti della storia religiosa senese e dell’intera Toscana meridionale in età moderna. Uno dei processi più interessanti, anche per la ricchezza delle informazioni contenute nelle circa 250 carte che lo compongono, è quello subito dalla nobildonna Daria Carli Piccolomini, una delle monache del monastero di Santa Maria degli Angeli di Siena (detto del “Santuccio”), tra il 1599 e il 1602. La suora era accusata di aver maturato convinzioni eterodosse estremamente particolari, unite a una certa dose di scetticismo: ella dichiarava pubblicamente di non avere una «fede viva» riguardo molti aspetti della dottrina cattolica, tra cui l’incarnazione del Verbo e la passione di Cristo; inoltre, temeva a tal punto il meccanismo dell’escatologia cristiana incentrato sull’espiazione dei peccati da odiare Dio per aver creato un sistema così terribile da prevedere persino pene infernali eterne per le anime peccatrici. A Dio rimproverava, inoltre, l’errore di creare uomini e donne pur sapendo – grazie alla sua visione dell’eternità – che alcuni di essi non si sarebbero salvati. Il processo inquisitoriale contro la suora, svolto dall’inquisitore francescano Zaccaria Orcioli da Ravenna prevalentemente mediante interrogatori che avvenivano attraverso le grate del monastero, apre uno squarcio non solo sulle questioni dottrinali poste dall’inquisita, ma anche sugli effetti collaterali della monacazione giovanile, sui rapporti non sempre idilliaci che venivano talvolta a instaurarsi tra le consorelle all’interno dei monasteri, sulla gestione degli “scandali” che talvolta vi si verificavano, nonché sui meccanismi di controllo messi in atto dalle autorità ecclesiastiche. Il processo contro Daria Carli Piccolomini, infatti, venne avviato dall’Inquisizione su segnalazione del vescovo e, col tempo, divenne talmente rilevante da richiedere l’intervento non solo della Congregazione romana del Sant’Uffizio, ma persino del papa stesso, Clemente VIII, il quale ebbe l’ultima parola sulla conclusione della causa.
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